Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 40 - maggio 1993

{)!LBIANCO Oll,,ILROSSO t+iikiil•ii Sindacateoimprenditori, anchepervoi è l'oradel«nuovo» di Raffaele Morese u n accordo sulle relazioni sindacali che incorpori anche un nuovo sistema contrattuale e le regole per l'elezione e il ruolo delle rappresentanze sindacali di base ha lo stesso valore di una riforma istituzionale. Non c'è, ovviamente, nessun automatico parallelismo tra le difficoltà che si sono incontrate sui due fronti. Ma è evidente che il conflitto tra nuovo e vecchio sulle riforme istituzionali, che attraversa tutto lo schieramento politico italiano, ha una qualche corrispondenza anche nello schieramento sociale che da molti mesi è impegnato a dare completamento all'accordo del 31 luglio. Se così non fosse, non si capirebbe perché con il governo Amato si sia arrivati solo nei pressi della conclusione, senza riuscire a concludere davvero. Infatti, è quanto meno strano che i soggetti sociali coinvolti - tutte le rappresentanze imprenditoriali e i sindacati confederali - sottoscrivano una pre-intesa sulla politica dei redditi e non siano in grado di trarne conseguenze coerenti per il modello contrattuale. Viene in mente ciò che è capitato con il referendum sul sistema elettorale. Un largo schieramento di partiti, ufficialmente per il sì, trova anche un largo consenso tra l'elettorato, ma poi si blocca e si frantuma sulla scelta del nuovo. Tanto sotto quella pre-intesa, quanto nel sì referendario, si è nascosta cioè una buona dose di trasformismo, che al momento giusto è venuto fuori. Sul piano politico, nel voto alla Camera per l'autorizzazione a procedere nei confronti dell'on. Craxi (segnando una delle peggiori pagine della storia parlamentare di questo Paese). E sul piano sociale, nelle resistenze al cambiamento del sistema contrattuale. Il nuovo Governo, e verosimilmente soprattutto il nuovo ministro del Lavoro Giugni, devono riuscire a rimontare le vischiosità che si sono depositate dopo l'interruzione del negoziato. In termini di contenuto la questione nodale resta l'intreccio tra contrattazione nazionale di categoria e contrattazione decentrata, specie sotto il profilo salariale. Se, formalmente, lo scontro tra le parti ha riguardato la contrattazione decentrata e lo spessore del suo valore integrativo, sostanzialmente però la questione resta più complessa. È impensabile che il sistema delle imprese si voglia privare di una qualche capacità di regolamentazione del consenso a livello aziendale: sempre più, nei prossimi anni, le possibilità di successo sui mercati dipenderanno dall'efficacia delle strategie di «qualità totale», e non è immaginabile che le imprese credano di poterle perseguire senza coinvolgere il sindacato, e quindi senza passare attraverso la contrattazione. Ciò vale anche per il settore pubblico. D'altra parte, il sindacalismo confederale ha già detto che i parametri cui deve rapportarsi la contrattazione decentrata del salario sono fondamentalmente tre: le condizioni di lavoro, la produttività, le redditività. I margini per una composizione degli interessi su questo punto c'erano già prima del 18 aprile, e ci sono tuttora. Ciò che ancora manca è l'intreccio tra i due livelli contrattuali: e non è indiferente se i compiti del contratto nazionale di categoria saranno assegnati seguendo criteri tradizionali e se si riuscirà invece a progettarli secondo canoni nuovi. Secondo tradizione, la durata dei contratti e lo scaglionamento salariale nel corso degli anni di vigenza sono variabili dipendenti da valutazioni

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