{)!LBIANCO ~ILROSSO iiikiil•ii Senza la ricerca di un tale radicamento si perpetuerà per il Psi una sorta di maledizione storica: quella di non riuscire a trarre i frutti delle scelte politiche storicamente efficaci e corrispondenti alle necessità dei tempi, effettuate nel corso della sua vicenda ormai centenaria. Di scelte come il riformismo partecipativo-collaborativo nell'età giolittiana, del centro-sinistra, negli anni sessanta, dell'autonomismo competitivo nel corso del primo periodo della leadership di Craxi. Scelte pregiudicate non tanto dagli avversari esterni, quanto da inarrestabili e imprevedibili dinamiche interne. Rappresentate man mano dagli intellettuali massimalisti piccoloborghesi, dalle scissioni estremiste, dalla subalternità (o soggezione) verso il Pci, dalla ascesa degli «affaristi»favoriti dal regime consociativo. Senza questo nuovo radicamento si potrà ripresentare in futuro il pericolo della trasformazione in potere personale verticalizzato di quelle leadership forti e autorevoli di cui tutti i partiti socialisti hanno, comunque sia, bisogno. Oltre al ricambio delle élites e alla ricerca di un nuovo radicamento sociale, il futuro di un partito socialista dovrà riscoprire delle modalità di presenza come formazione politica nazionale in rinnovato contesto elettorale-istituzionale. Ed un partito socialista, pur animato da una logica federativa di gruppi e associazioni, non può che essere un partito nazionale. E questo perché le linee di frattura, o di divisione, sulle quali richiede consenso, e sulle quali crea competizione elettorale, sono ben altre da quelle di carattere etnico-territoriale. Da questo punto di vista, in un nuovo contesto elettorale maggioritario, l'attuale Psi è probabilmente già un partito finito. Un nuovo radicamento, maggiormente fondato su rapporti di tipo associativo - collettivo - 8 federativo, rappresenterebbe già una modalità di presenza che potrebbe avere chances di affermazione nel nuovo contesto. Ad esso andrebbero tuttavia affiancati processi di unificazione (o federazione) con quelle componenti della tradizione politica italiana che hanno come destino storico quello di contribuire esplicitamente alle sorti del socialismo democratico. Mi riferisco in primo luogo alle componenti cosiddette «miglioriste» dell'ex-Pci, d'ora in avanti liberate dai doveri della tradizione di osservanza verso la casa madre. Un effetto non perverso della caduta del socialismo reale. E la fine di una tradizione che aveva permesso ad un leader d'eccezione come Giorgio Amendola di praticare tratti (spesso inascoltati) di socialismo liberale insieme con rudi richiami alla fedeltà filo-sovietica. Si chiede troppo per il futuro possibile del Psi? Forse, ma è ciò che appare necessario per contrastare il flusso degli eventi che, così com'è e senza correttivi, sembra portare verso un tramonto senza rinascita. D'altra parte queste trasformazioni sembrano anche necessarie per garantire una presenza politica senza la quale sarà difficile prevedere per la sinistra italiana chances concrete di successo dopo la probabile sconfitta iniziale nel nuovo contesto elettorale. Una sinistra che, come in ogni altro importante caso europeo, non potrà essere interpretata solo dalle componenti, ormai numerose, di tipo radical-democratico, fra queste la variante radicale di massa rappresentata dal!' attuale maggioranza del Pds. Che cosa ostacolerà il Psi su questo camino di trasformazione? Certo la disaffezione crescente verso di esso, ma forse ancor di più i contorsionismi, già in atto, del vecchio gruppo dirigente.
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