zione è complessivamente calata in tutta la regione. In media l'inflazione dell'America latina per il 1992 è stata del 41 O per cento, ma se si esclude il Brasile questa è arrivata al 22 per cento. Il debito con l'estero dopo un rallentamento nel 1991 ha registrato un incremento del 2 per cento nel 1992 arrivando ad un totale di 451 mila milioni di dollari, ma il saldo degli interessi e dei servizi dell'indebitamento è diminuito di ben 27 milioni di dollari nel 1991 e di 12milioni di dollari nel 1992. Il peso dell'indebitamento esterno continua dunque ad assottigliarsi. Abbiamo detto paradossalmente, perché nonostante un sensibile miglioramento degli indici macroeconomici, al contrario, gli indici macrosociali in primis la povertà, il lavoro informa] ma anche la criminalità urbana continuano a crescere. Il sogno della democrazia in America latina comincia ad affievolirsi e ne è una prova non solo il colpo di stato ad Haiti, quello de Iacta in Perù e i due sanguinosi tentativi dell'anno scorso nel Venezuela, ma anche la perdita di consenso che i di: versi sistemi politici latinoamericani rapidamente hanno subito in questi ultimi anni e l'emergenza di leaders nostalgico-populisti (Fujimori in Perù e Chavez in Venezuela) o nostalgico-autoritari (Aldo Rico in Argentina); ma anche gli allarmanti risultati di alcuni sondaggi come quello recente dell'uruguayano Manuel Flores Silva che rileva come solo il 16per cento della popolazione pensi che i partiti politici abbiano obiettivi nazionali e che il 77 per cento pensi che i partiti rappresentino solo interessi di gruppi e, infine, che ben il 75 per cento pensi che i partiti politici siano un fattore di divisione nazionale. Ciò che sta succedendo, dovrebbe mettere all'erta coloro che durante un decennio hanno proposto la combinazione dello sviluppo con il progresso nell'uguaglianza sociale, ma si sono rassegnati a che il mercato risolvesse una simile equazione. Le democrazie latinoamericane hanno espresso assai buoni propositi sul bisogno di «inserire gli esclusi nel mercato», ma niente hanno detto e ben poco hanno fatto sul principale ostacolo e cioè che l'asse della strategia dei programmi di riforma economica neoliberista è quello di attrarre gli investimenti offrendo bassi salari, bassissima pressione fiscale e bassi prezD!LBIANCO ~ILROSSO •IHl@IIM••~W~•fX 11 zi. Così facendo vengono espulsi dal mercato milioni di latinoamericani e anziché ridurre i livelli di povertà li aumenta, come abbiamo visto, del 4 per cento ogni anno. La necessaria riduzione dello Stato ha comportato sic et simpliciter il crollo delle politiche pubbliche e sociali e una profonda disarticolazione della domanda organizzata della società civile. Tuttavia si può dire che oggi in America latina sono socialmente egemoni quelle concessioni che richiedono più «settore privato», più «imprenditori» e meno «economia sociale». Se nel passato è lo Stato che ha sostituito la società oggi si corre il rischio che sia il mercato a volerla sostituire, con tutti i problemi di marginalità sociale che ciò comporta. Il mito neoliberista promette di distribuire la ricchezza, ma con una forma di distribuzione verso il basso. Prima è necessario, dicono i suoi fautori, «riempire il bicchiere». L'importante è quindi creare ricchezza. La distribuzione avverrà poi, naturalmente. I miglioramenti economici o meglio dei principali indici macroeconomici sebbene siano un fatto veriterio, si veda soprattutto il controllo dell'inflazione, non hanno però comportato stabilità politica. Ovunque aleggia il timore del ritorno 71 dei militari. In Venezuela Chavez e i militari bolivariani sono considerati veri e propri eroi popolari. In Argentina l'anno scorso il carapintada golpista Aldo Rico ebbe ben 500mila voti nelle elezioni politiche. In Perù l'arresto di Abimael Guzman, leader del gruppo terroristico maoista Sendero luminoso ha significato per i militari un grande prestigio sociale. In Perù come altrove, questi tentativi militari si innalzano non solo per delegittimare i sistemi politici a causa delle riforme economiche, ma anche e soprattutto per gli enormi livelli di corruzione politica. Mentre nel Cile democratico vengono a galla gli scandali della dittatura di Pinochet, nel resto nell'America latina i militari pretendono di porsi come i veri alfieri delle pubbliche virtù. Gli effetti distruttivi della corruzione nei paesi in via di sviluppo sono devastanti, e data la loro debolezza sociale e politica la corruzione li rende particolarmente vulnerabili ai suoi effetti disgreganti. In Brasile, forse per la prima volta nella storia dell'America latina, il presidente viene deposto dal Parlamento e da una gigantesca mobilitazione sociale per fatti di corruzione; in Bolivia il ministro dell'interno coinvolto nella rete del narcotraffico viene dimissionato dal presidente Jaime Paz. Ma anche in Messico si espande la critica alla corruzione politica e alla dilangante mordida (morso) che sta costringendo il governo di Salinas a «de-istituzionalizzare» la rivoluzione e il governo del Pri. In nome delle accuse contro la partitocrazia e contro la corruzione il presidente peruviano Fùjimori «sospende la democrazia». E così la stessa Cuba non è immune se si ricorda l'esecuzione del generale castrista Ochoa. In Venezuela ci sono stati negli ultimi dodici mesi, come ricordavamo, ben due tentativi di colpi di stato. In questo paese, l'intellettuale Uslar Pietri, ha ricordato come negli ultimi venti anni il Venezuela abbia ricevuto l'ingente somma di 250mila milioni di petrodollari e che «se investiti in modo sensato, avrebbero portato il paese al livello più sviluppato dell'intera area continentale». A Panama la caduta della dittatura di Noriega a causa dell'invasione americana non ha liberato questo paese dagli scan-
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