in modo non chiaro e in buona parte inserito nel dibattito sulle risorse finanziarie da destinare alle politiche comunitarie, nell'incontro semestrale di Edimburgo. L'esperienza della seconda metà del 1992, con i risultati occupazionali esaminati più sopra e le previsioni per il 1993, ha chiaramente messo in evidenza che la priorità sostanzialmente attribuita alle condizioni di convergenza nominale (monetaria/finanziaria) tende a mettere in secondo ordine gli obiettivi di convergenza reale, in altri termini gli obiettivi di coesione economica e sociale. Per recuperare lo spirito dell'Uem e degli stessi Accordi di Maastricht a tale riguardo, occorre ridare alla coesione economica e sociale il ruolo prioritario indispensabile. Ciò significa anzitutto che, tra i criteri di convergenza, deve trovare chiara collocazione qualche criterio che espliciti l'esigenza di perseguire, entro un dato orizzonte temporale, da parte delle politiche economiche nazionali con il sostegno delle politiche comunitarie, determinati risultati di minore squilibrio economico e sociale. Data l'importanza cruciale che ha ed avrà nel prossimo futuro la problematica occupazionale e tenuto conto delle proposte delle parti sociali europee per «una ~ ~~~ {)~BIANCO ~ILROSSO •IR•@Ul••~Cf*1•1 fl nuova strategia di cooperazione per la crescita e l'occupazione», si ritiene che, accanto ai criteri di contenimento dei differenziali di inflazione e di tasso di interesse nonché di contenimento dell'indebitamento pubblico, sia opportuno prevedere un criteriodi convergenzache riguardi la problematica occupazionale. Alla luce dell'esperienza degli anni '80 e delle previsioni a medio termine per gli anni '90, il criteriodi convergenzaoccupazionale può essere il seguente: un aumento del tasso di occupazione medio nella Comunità Europea che porti tale tasso alla fine della seconda fase dell'Uem (fine 1997o oltre) ad almeno il 64% della popolazione europea in età lavorativa, con tassi di occupazione nei diversi paesi membri della Comunità che non siano a tale epoca inferiori ad almeno il 59% a livello nazionale e con una sostanziale riduzione (da precisare in programmi di politica di sviluppo del reddito e dell'occupazione a medio termine, discussi presso il Comitato delle regioni previsto dal Trattato di Maastricht) dei differenziali regionali di tali tassi nel!'ambito di ogni singolo Stato membro. L'adozione di un simile criterio di convergenza si ripercuoterà, oltreché sulle dimensioni e sulle modalità di utilizzo delle risorse comunitarie (il che imporrà ì ~ "'i . ---- --' . .. ' \ ( ~~ :-' ' , ~' . -:-' 1\'1. ,.,• ~"' ~--..,.~ . • - \J, _=-,~:,_ ~ - ., , "' 69 di riprendere in esame le scelte in merito avviate ad Edimburgo}, sulle politiche in merito ai tassi di interesse e sulle politiche fiscali nei vari paesi membri. È evidente che, dal punto di vista dei tassi di interesse, non saranno coerenti strategie che, a scopo antinflazionistico o ad altro scopo, ostacolino il rilancio produttivo e lo sviluppo di iniziative produttive localizzate nelle regioni più deboli; analogamente, dal punto di vista fiscale, non saranno coerenti strategie che, volendo contenere a tutti i costi l'indebitamento pubblico in termini di flussi e possibilmente anche in termini di stock, taglino indiscriminatamente la spesa pubblica a danno dei suddetti obiettivi occupazionali. L'adozione di tale criterio di convergenza consentirebbe, da un lato a livello europeo di evitare che l'entrata in vigore del mercato unico dei prodotti (in aggiunta a quanto è già in corso per i capitali), accentuando le tensioni verso un'Europa a due velocità, abbia piu effetti squilibranti e in definitiva disgreganti di quelli auspicati di unificazione economica e politica; dall'altro lato, indurrebbe la politica economica di paesi, come l'Italia, ad uscire da un'impostazione puramente di emergenza ed a muoversi in una strategia organica di sviluppo nel medio/lungo periodo.
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