L'aumento del tasso di occupazione nella seconda metà degli anni '80 è stato minore nelle regioni meno sviluppate nonostante che in esse si sia avuta un'espansione dell'occupazione industriale e terziaria relativamente maggiore che nelle altre regioni. Ciò è avvenuto sia perché nelle prime regioni l'occupazione agricola è risultata in marcata riduzione, sia perché i livelli di occupazione industriale e terziaria nelle regioni meno progredite erano relativamente molto più bassi in rapporto all'occupazione complessiva: basti considerare che, ancora nel 1990, l'occupazione agricola rappresentava il 23,9% del totale in Grecia, il 18,1% in Portogallo, il 15,2% in Irlanda, 1'11,9% in Spagna, il 9,0% in Italia (con profonde differenze tra Mezzogiorno e Nord), contro il 2,2% nel Regno Unito, il 3,7 in Germania, il 6,4% in Francia. All'inizio degli anni '90, il cumularsi della crisi congiunturale (che ha colpito in modo particolare la produzione di beni) con i processi di ristrutturazione della produzione manifatturiera e di servizi, sollecitati dalle prospettive di maggiore competitività attesa nel mercato unico europeo dei prodotti, ha comportato in tutta la Cee una graduale riduzione dell'occupazione industriale ed un rallentamento del!'espansione del!'occupazione terzia - ria, mentre ha continuato (sia pure a ritmo meno sostenuto che in passato) la riduzione dell'occupazione agricola. Il fatto nuovo rispetto alla seconda metà degli anni '80 è che, nelle regioni meno sviluppate europee, si sono verificati per la prima volta fenomeni di rimarchevole diminuzione dell'occupazione industriale ed un'espansione dell'occupazione terziaria insufficiente, in presenza di un'ulteriore riduzione dell'occupazione agricola regionale, a garantire un ulteriore aumento dei tassi di occupazione regionali e, in taluni casi, addirittura un aumento del numero di occupati nonostante la crescita dei lavoratori presenti. Tale fatto nuovo dovrebbe manifestarsi in modo accentuato nel quadro delle previsioni 1993 e forse anche negli anni successivi, a meno che vengano adottate politiche dell'occupazione e del lavoro idonee ad evitarlo. Dl.LBIANCO Oll.ILROSSO •NHl;WtPl••~Cu~• ►tfl Commentando l'esperienza della seconda metà degli anni '80, gli esperti della Ce hanno sottolineato che l'aumento dell'occupazione extragricola (e delle corrispondenti produzioni) a ritmo più intenso nelle regioni europee meno sviluppate rappresentava un aspetto rilevante di convergenza della struttura occupazionale e produttiva di tali regioni verso quella delle aree più progredite della Comunità. Si metteva tuttavia in luce chetale convergenza stava avvenendo a ritmo troppo lento, come dimostravano le differenze nell'andamE:ntodei tassi di occupazione complessivi; si esprimeva inoltre da più parti la preoccupazione che l'accelerazione dell'integrazione economica europea, concentrando per lungo tempo e nelle aree a struttura produttiva maggiormente sviluppata ed articolata gli effetti positivi della ricerca dei vantaggi in termini di economie di scala e di efficienza, avrebbe ulteriormente aumentato negli anni '90 le distanze (quanto a tassi di occupazione e quindi a peso specifico della problematica occupazionale) tra regioni meno sviluppate ed altre regioni in Europa. La stasi dell'occupazione nel 1991 nella Ce, la riduzione marcata stimata per il 1992 e quella attesa per il 1993, in presen67 za di un aumento della popolazione in età lavorativa della Comunità (soprattutto se si tiene conto dell'immigrazione netta, in parte non ancora rilevata dai dati ufficiali), fanno prevedere una riduzione dei tassi di occupazione per l'intera area comunitaria fino al 1994. L'andamento dell'occupazione atteso nei paesi europei con totale o maggiore presenza di regioni a minore grado di sviluppo (Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna) e che si può temere per il Mezzogiorno d'Italia, oltreché l'andamento dell'occupazione previsto per i lander orientali della Germania unificata, fanno ritenere molto probabile una riduzione dei tassi di occupazione nellaprimametàdeglianni '90nettamente maggiore nelle regioni meno sviluppaterispettoallealtreregionieuropee. Ne discende che è in corso e può accentuarsi nel prossimo futuro una marcata divergenza, quanto a struttura occupazionale (ed in ultima analisi quanto a struttura produttiva), tra le regioni meno sviluppate e quelle più progredite della Comunità Europea. Questo aspetto di non convergenza sul piano reale, in quanto è indice significativo di un aggravamento di componenti strutturali della problematica occupazionale e più in generale di sviluppo economico/sociale, assume un rilievo molto importante, se si tiene conto che lo spirito del progetto di Unione Economica e Monetaria europea alla fine degli anni '80 non intendeva affatto porre in secondo ordine il contenimento degli squilibri economici e sociali rispetto alla realizzazione di una moneta unica e di una politica monetaria unificata. Non a caso, con l'Atto unico europeo del 1986, si è cercato di dare un contenuto operativo all'obiettivo della «coesione economica e sociale» (già incluso nel preambolo del trattato istitutivo della Cee), specificando nel TitoloV come perseguire tale obiettivo e quali strumenti adottare. 3. Non c'è coesione economica senza coesione sociale. Apparentemente, gli stessi Accordi di
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==