Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 38 - marzo 1993

gere gli obiettivi di convergenza fissati dall'Unione monetaria. In una Comunità europea fattasi inevitabilmente più complessa nelle sua attuale composizione a Dodici (e la prospettiva di un allargamento ormai non più lontano ad altri tre o quattro Paesi non semplifica le cose) le divergenze sono diventate molto più grandi di quanto non fossero itempi del Trattato di Roma. Gli squilibri tra le regioni permangono gravi: la regione più ricca è oggi nella Comunità sei volte più ricca di quella più povera, il reddito medio di un cittadino greco è appena 1/3 di quello di un cittadino lussemburghese, nel settore della protezione sociale, l'impegno di un paese come l'Olanda è due volte quello del Portogallo, la disoccupazione in Spagna è nove volte più grande che in Lussemburgo. E insieme con le divergenze degli indicatori economici si registrano divergenze rilevanti nei progetti politici dei dodici paesi membri della Cee. Il processo di ratifica del Trattato di Maastricht avrà rivelato anche ai più distratti tra gli europei che non tutti hanno della Comunità una visione, non dico identica, ma almeno convergente e compatibile. Alcuni danno una traduzione forte della solidarietà e puntano ad un Europa più compatta, lavorano per la sua unità politica e la sua coesione sociale; altri meno ambiziosi - o più strumentali - sembrano accontentarsi del grande Mercato unico dove massima sia la libertà di esprimere i rapporti di forza, dove la competizione abbia la meglio sulla solidarietà, dove la crescente esclusione sociale di milioni di europei è ritenuta un fatto congiunturale con il quale si può tranquillamente convivere, dove 16 milioni di disoccupati oggi nella Comunità a qualcuno sembrano un «incidente trascurabile». Eppure basterebbe pensare che i 16milioni di disoccupati di oggi equivalgono alla popolazione attiva di Belgio, Danimarca, Grecia, Irlanda, Lussemburgo e Portogallo: come dire che metà dei paesi della Cee sono in cassa integrazione! Ma non solo all'interno della Comunità le prospettive di solidarietà si sono fatte più complesse. Molto più complesso è diventato il mondo che ci circonda e che, in grande parte, si rivolge all'Europa per chiederle solidarietà. Vicino a noi chieDlLBIANCO "-'Z,.ILROSSO 111 u#f#u HIl ~-""~~ ~~;.;.:.:.-,~- dono solidarietà i popoli dell'Europa centrale ed orientale, chiedono solidarietà i paesi del mediterraneo settentrionale, chiedono solidarietà i paesi del mediterraneo settentrionale, chiedono solidarietà i paesi dell'Africa sempre più abbandonati al loro destino e la chiedono i paesi alla ricerca di uno sviluppo decente. In casa nostra, nella nostra Europa, chiedono solidarietà oltre 1 O milioni di immigrati ai quali non siamo stati capaci di offrire lavoro e dignità nei loro paesi di origine. Non sembri questo «ampliamento» del tema della solidarietà estraneo a questa riflessione, poiché il tema dell'Europa sociale è unico e indivisibile. I problemi della solidarietà «interna» all'Europa non sono dissociabili da quelli della solidarietà «esterna» e non solo per ragioni etiche 63 che a qualcuno potrebbero parere trascurabili. A costoro, sensibili alla contabilità dei costi-ricavi, va ricordato che la solidarietà, la dimensione sociale dei nostri paesi è un elemento integrante anche di una performance economica capace di durare nel tempo e non limitata ad incursioni corsare per rapinare i più deboli. Né più confortante sembra delinearsi il paesaggio che si va modellando nella prospettiva dell'Unione monetaria. Ci si sta rendendo conto di quanto diventi ogni giorno più alto il numero delle vittime immolate sull'altare dell'economia nominale, soprattutto in una fase di dura e persistente recessione che farà registrare in Europa 17 milioni di disoccupati nel 1993. E intanto le turbolenze monetarie e la rottura di solidarietà tra i Dodici rafforzano la convinzione sulla pericolosità per l'edificio comunitario dell'assenza di un pilastro fiscale, elemento essenziale per una politica economica nella Comunità, al punto di far dire a qualcuno che meglio sarebbe chiamare le cose con il loro nome e limitarsi a dare alla futura Unione l'appellativo di «monetaria», ma non certo di «economica» e ancor meno di «politica». Abbiamo registrato considerazioni molto severe, ma anche sempre più condivise e comunque di estrema pertinenza rispetto al tema dell'Europa sociale. È importante averle in mente in vista della futura revisione del Trattato nel non più lontano 1996. Per riempire lo «spazio sociale» della Comunità non basterà infatti alimentare maggiormente l'ancora scarno capitolo della politica sociale per poi integrarlo finalmente nel Trattato. In questo senso sembra doversi interpretare l'impegno assunto dalla Comissione per il prossimo biennio allorché essa afferma che «un processo di riflessione prospettica sarà lanciato in merito alle nuove lappe del- !' azione comunitaria sul tema essenziale» della dimensione sociale. Sarà un contributo importante ad un Trattato più equilibralo che declini la solidarietà anche dentro l'Unione monetaria (completando ad esempio le variabili di convergenza con un riferimento all'occupazione) perché questa si articoli ad un'Unione economica e riconosca nell'Unione politica, con una dimensione democratica adeguata, il proprio quadro di riferimento.

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