proprie abilità professionali ad un quadro che è in continuo mutamento. Nei servizi, anche quando non è espressamente dichiarato, gli operatori negoziano le regole che sovraintendono al loro lavoro; ogni professionista ha una quota di potere con cui condiziona il lavoro altrui. In altri termini i servizi di welfare sono a potere diffuso, organizzazioni in cui la responsabilità, individuale e collettiva, è esplicita e da tutti esercitata. Tutto ciò produce una differenza nel modo di lavorare che è percepita dagli utenti, per esempio lo sportello per prenotare il prelievo del sangue è cosa diversa dal centro educativo per disabili. Nel primo caso la richiesta dell'utente è l'input per l'avvio di una pratica, un'informazione che deve riempire un modulo: il perché di questa pratica non è competenza dello sportello. Nel secondo caso è il bisogno che l'utente esprime al centro di tutta l'organizzazione. Questo richiede la comprensione del bisogno e la costruzione di interventi diversificati: una grande dose di inventiva ed originalità. Purtroppo l'originalità dei servizi alle persone viene soffocata dal!' appartenere ad una macchina più grande che non funziona con lo stesso lasso di innovazione continua. Si tratta di produrre una linea di prototipi, ritagliati sulle richieste del DlLBIANCO ~ILROSSO I uf)-.1J I a ;I cliente, dentro una fabbrica che è una catena di montaggio rigida. È una cultura amministrativache si fonda sul falso presupposto che il «detto», il «normalo» è il «fatto»,l'«agito». Enunciare una norma, un diritto, un nuovo servizio, una pianificazione equivale ad averla praticata. La regolamentazione della pubblica amministrazione, nella sua organizzazione tayloristica del lavoro, tende a descrivere modelli astratti di funzionamento, modelli in cui il lavoro e la divisione dei compiti sono fissati a priori facendo riferimento ad una situazione di funzionamento perfetta. È la stessa differenza tra un esperimento in vitro - in cui tutti i fattori sono sotto controllo e tutti gli attori si muovono seguendo una logica razionale lineare - ed un esperimento in vivo - in cui i fattori sono disturbati e le logiche di comportamento sono agile da attori con aspirazioni e finalità diverse e anche conf!iggenli. Nella burocrazia, nelle Usi il lavoro è di tipo «lineare», per raggiungere determinati risultati bisogna seguire procedure ben definite e il potere, di decisione come di controllo, è esterno agli operatori. Agire e valutare sono due attività distinte, la responsabilità è «invisibile» e frantumala. Nei servizi di welfare convivono queste due anime e quando la flessibilità degli 61 operatori dei servizi alla persona non è aiutata dalla regole organizzative allora il personale si «brucia», lavora in maniera routinaria e passiva; in altri termini «regredisce» a semplice esecutore di ordini, si «burocratizza». Si tratta di due paradigmi culturali ed organizzativi che danno esili diversi: la logica burocratica vede l'utente in termini subalterni, la logica della flessibilità incoraggia l'utente a farsi protagonista del proprio progetto. Non esiste una strada che aiuti l'affermazione del paradigma della flessibilità su quello burocratico, ma l'esperienza degli operatori e gli studi organizzativi stanno a dimostrare che quando gli operatori si riconoscono il potere di stabilire le regole e lo agiscono, allora producono benessere e innovazioni. Perché non organizzare tutta la burocrazia come i servizi alle persone? Si potrebbe, cioè, dividere il lavoro in piccole unità, in cui gli operatori, incontrando i bisogni degli utenti, costruiscono le regole del loro lavoro. Unità in cui la responsabilità è riconosciuta e praticala non come un arbitrio, ma come una risorsa. Il cammino è lungo e faticoso, ma è forse l'antidoto ad una pubblica amministrazione percepita come nemica dagli operatori e dai cittadini.
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