stro De Lorenzo e le Regioni sullo sfondo della fine della vecchia legislatura e le amare vicende dell'inizio di quella nuova. La legge delega riannoda i fili del riordino, mentre il decreto legislativo n. 502/ 1992 prefigura i lineamenti del nuovo Servizio sanitario nazionale, contro il quale insorgono (in un solo «giorno da leone») le categorie dei medici e rumoreggia un Pds a caccia di farfalle. Si parla di referendum, si minacciano (udite! udite!) leggi d'iniziativa popolare. Ma cosa contiene di tanto iniquo un decreto legislativo che tira le somme (magari avrebbe potuto fare meglio) di anni di dibattito? In primo luogo è previsto un diverso sistema di finanziamento fondato sull'attribuzione alle Regioni della contribuzione sociale riscossa nel proprio territorio. Il Fondo sanitario nazionale, in questo modo, viene ad avere una funzione di riequilibrio e di compensazione della differenza esistente, in ciascuna regione, tra le risorse derivanti dalla contribuzione e il fabbisogno. Viene poi conferita alle Regioni autonomia impositiva ove si renda necessario coprire disavanzi di gestione. Qui sta uno dei passaggi critici del riordino, duramente contrastato dal sistema delle Regioni. Certo, l'avvio del decentramento regionale e dell'autonomia impositiva pone gravi problemi al sistema delle Regioni, D!LBIANCO ~ILROSSO • •11 ~1§•1 a ,1 soprattutto quando è evidente la sottostima delle risorse fissate nella finanziaria 1993. Non trovo però grande differenza tra la scelta di varare a livello nazionale una manovra per prelevare dalle tasche dei cittadini 5-10 mila miliardi in più (rispetto a 93 mila dell'autunno scorso) per consentire un finanziamento congruo della sanità, e quella di aver posto le Regioni in condizione di farlo nei confronti dei propri cittadini, una volta che risulti impraticabile una politica di risparmio, di razionalizzazione e di riduzione degli sprechi. Anzi, un percorso di autofinanziamento dovrebbe consentire un rapporto più stringente e responsabile tra amministrazione e cittadini, soprattutto in quelle realtà che fino ad ora sono state privilegiate nella ripartizione delle risorse nazionali. Ma le critiche si concentrano soprattutto sul problema dell'art. 9 del decreto legislativo riguardante le forme di assistenza differenziata. Per onestà va detto che la posizione dei sindacati ha costretto il governo a rivedere la sua impostazione iniziale. Si prevede infatti l'avvio di un periodo di sperimentazione a base regionale per un triennio, a partire dal 1.1.1995. Sinceramente non si comprende perché si debbano scatenare inconsulti furori ideologici contro esperienze rinviate nel tempo e sottoposte a verifica di congruità. 55 Esperienze che possono servire a rendere più flessibile e competitivo il sistema dando ai cittadini una più ampia facoltà di scelta. La mutualità, soprattutto, può essere una strada per combinare insieme qualificazione del servizio e controllo della spesa attraverso un uso corretto del ruolo d'intermediazione finanziaria tra cittadini e strutture sanitarie che le mutue possono avere. Del resto, l'esperienza internazionale dimostra che né il modello statalista centralizzato, né quello privatoassicurativo sono in grado di garantire qualità e costi. Certo, il finanziamento della mutualità deve realizzarsi attraverso lo storno della quota capitaria e non di parti della contribuzione. Poi, per questa via non si realizza la quadratura del cerchio. In ogni caso si consentirebbero esperienze vitali, rivolte a dare ai cittadini organizzati un potere d'influenza sostenuto non solo da diritti astratti, ma dall'uso e dalla capacità d'indirizzo di consistenti risorse con effetto premiale sui servizi più efficaci e qualificati, i quali sarebbero avvantaggiati attraverso le negoziazioni con le mutue e gli altri soggetti collettivi e consortili. Eppure, sembra di essere tornati al tempo degli Unni. Si vede che è diventato impossibile essere contemporaneamente di sinistra e intelligenti.
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