Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 38 - marzo 1993

Europa se si pensa che i 12paesi denuciano 50 milioni di cittadini al di sotto della soglia della povertà, oltre un milione senza casa e con circa il 20% della popolazione (33% in Portogallo) con un reddito inferiore al 50% del reddito pro-capite del proprio paese. Se questa è la situazione per i bisogni vitali possiamo considerare che ben maggiori sono le diversità per gli altri «bisogni», della salute, della casa, della scuola e della formazione. Per non parlare dei bisogni «nuovi» e dei diritti di cittadinanza: dalla vita sociale in città vivibili, alle comunicazioni aperte a tutti, all'estesa partecipazione politica. Per evitare obiettivi utopici e destinati al fallimento per i costi e soprattutto per i risultati contraddittori, dobbiamo ripensare ad una uguaglianza non astratta e regalata dal pubblico potere, bensì ad una progressiva riduzione delle diseguaglianze e quindi ad interventi riferiti alle fasce più deboli e/o emarginate, non limitandoci all'assistenza quanto a favorire l'autopromozione. Ritengo perciò importanti: a) collegare ogni intervento delle politiche sociali alle condizioni reali di reddito del cittadino, in rapporto ad un fisco più semplice ed efficiente; b) stabilire soglie di benessere, non solo economico ma anche di «qualità della vita»(condizioni di salute, lavoro «gradevole», ambiente vivibile, grado di istruzione, vita sociale) che saranno variabili nel tempo e nelle diverse aree geografiche. c) garantire opportunità di accesso a tutti, con possibilità di autopromuoversi sia individualmente (soprattutto col lavoro e con la formazione), sia socialmente, con la famiglia e con le forme associative; in tale modo si sostiene e si promuove la solidarietà. 2) La funzione dello stato non è quella di oggi di ridurre la spesa sociale - che semmaiva razionalizzata - ma di ridurre il centralismo ed il totalitarismo degli interventi sociali. Oltre il decentramento effettivo(di spesa ed anche di finanziamento)alle Regioni e gli Enti locali, che hannomaggiori possibilità di regolare gli interventi sociali rispetto a domande diverse, occorre ritornare ad una responsabilità pubblica (stato ed istituzioni locali D.!J. BIANCO W.ILROSSO 1111 . § H1A ;7~;v~~~,l ~~/ ] ~!.'Srt.1.-r;;t~;.!j..-.,;.._~i::o.i.!, _;.l-;-;~ in termini chiaramente suddivisi tra loro) di regolazione, orientamento e controllo ma non necessariamente di gestione. Non vuol dire privatizzare, bensì arrivare a quella Welfare society, con un mix di imprese pubbliche (senza gestione partitica) insieme alle famiglie, al volontariato, alle cooperative di solidarietà sociale ed anche alle imprese private che operino non con convenzioni privilegiate ma in effettiva competizione, per migliorare le prestazioni e la qualità dei servizi. Occorre soprattutto che le istituzioni centrali e locali puntualizzino i loro compiti di regolazione e controllo, non formale ma sostanziale, per superare burocratismi, inefficienze, lottizzazioni. In tale quadro di ridefinizione e riorganizzazione dello Stato sociale, penso che gli obiettivi prioritari oggi debbano essere: 1) stabilire, attraverso un sistema fiscale semplificato ed efficiente, parametri di riferimento per gli interventi sociali, oltre che una politica di redistribuzione; 2) semplificare le prestazioni monetarie (assegni, detrazioni, ecc.) in proporzione ai redditi reali; vedi in proposito le ricorrenti proposte di Gorrieri per l'assegno sociale; 3) determinare un diverso costo dei servizi pubblici e sociali in rapporto al reddito 47 reale; le diffuse esperienze emiliane possono indicare razionali aggiustamenti; 4) richiedere una partecipazione degli utenti al costo dell'istruzione superiore (mentre quella dell'obbligo - da elevare ai 16 anni - va mantenuta gratuita), particolarmente con la forma di credito restituibile durante il lavoro retribuito; 5) sostenere ed incentivare le forme di autopromozione al lavoro, particolarmente attraverso una formazione professionale e la riqualificazione volta alla mobilità professionale. Mentre tali priorità vanno perseguite dal Governo centrale, il sistema delle politiche sociali va articolato sia per settori (v. previdenza integrativa), sia per categorie, sia per regioni e/o realtà locali, dove si può rispondere meglio a realtà diverse. Tale sistema dovrà garantire: a) una equa redistribuzione delle risorse con funzioni impositive e di coordinamento delle Regioni (attraverso il fisco e i costi differenziati dei servizi sociali) e compiti di riequilibrio del Governo centrale; b) una migliore qualità dei servlZl e delle prestazioni, sia attraverso la ristrutturazione ed efficienza delle pubbliche amministrazioni, sia con un positivo confronto e rapporto con i servizi del privatosociale; c) una cooperazione organica con il privato-sociale, a partire dalla famiglia, vista anche come unità sociale operativa, per collegare cooperative e gruppi locali di volontariato non in modo subordinato, ma anzi per valorizzarne l'autonomia e la partecipazione. Non ci è possibile, per il poco tempo, approfondire il discorso sulla solidarietà; basti affermare che oggi il senso ed il valore di solidarietà non è scomparso né diminuito, come stanno a dimostrare i numerosi movimenti di volontariato e le crescenti cooperative di solidarietà. Tuttavia non bastano molte esperienze specifiche e localizzate se non vengono generalizzate da idee progettuali - promosse a livello sociale - e coordinate da chi ha responsabilità pubbliche -. Proposte e progetti ci sono, mani e teste per operare pure, occorre ora promuovere una capacità di coordinamento.

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