Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 38 - marzo 1993

co consenta molte libertà civili, tali forme chiedano più autonomia. Al contempo è altrettanto evidente che, qualora tale autonomia non trovi forme di coordinamento e regolazione sociale, si rischia di investire risorse in programmi che non fanno altro che accrescere l'isolamento delle persone e altre condizioni di emarginazione. (b) Dall'altro, come istituzioni sociali, le formazioni sociali primarie e secondarie diventano un referente basilare per le politiche di welfare. Si deve prevedere un nuovo ruolo istituzionale dei soggetti sociali del terzo sistema. Volenti o nolenti, essi diventano un referente inedito per le politiche sociali. Si richiedono nuovi interventi che, in concreto, si riferiscono ai bisogni di vita quotidiana delle famiglie, in particolare: - all'esigenza di una maggiore tutela di diritto e di fatto delle persone deboli nella famiglia, sia a seguito di rotture coniugali, sia per la presenza di portatori di handicap, malati, persone non autosufficienti; - all'esigenza di armonizzare la vita familiare con le sfere di consumo, tempo libero e partecipazione sociale (orari dei negozi e degli uffici, qualità dei programmi televisivi e dei mass media, collaborazione con la scuola, ecc.); - all'esigenza di combattere la povertà senza stigmatizzare la famiglia e i suoi componenti; - all'esigenza che gli interventi di welfare tengano in considerazione la struttura differenziata dei bisogni familiari: in altri termini, le famiglie sentono l'esigenza di una «familizzazione» dei servizi e dei pacchetti di welfare; - alla necessità di una maggiore considerazione della famiglia come soggetto di imprese associative, di mutualità di solidarietà allargata (mutuai help, cooperazione, autogestione, specie nel campo dei servizi alle persone): è il vasto tema della «curadi comunità»; - all'esigenza di una rappresentanza politica per tutelare e promuovere i diritti delle famiglie come consumatori e utenti dei servizi. I nuovi bisogni delle famiglie, dei gruppi primari e secondari debbono essere interpretati, collocati e affrontati in queste due linee di tendenza, che sono di {)!.L BIANCO ~ILROSSO OX♦AAOHA per sé ambivalenti: da un lato tali soggetti esigono più libertà, dall'altro richiedono nuove regolazioni in termini di bene comune. Il problema di riconoscere il «ruolo societario» delle sfere di terzo sistema coincide con quello della loro rilevanza ai fini della definizione e del perseguimento dei beni comuni di tipo relazionale. Si tratta delle medesime condizioni che fanno del privato sociale o terzo sistema una espressione di quella che si è soliti chiamare la «cultura della cittadinanza» o «cultura civica», come complesso delle «virtù civiche». La legislazione italiana più recente, specialmente con le due leggi sul volontariato4 e sulla cooperazione di solidarietà sociale5 , ha iniziato a muoversi nella direzione del riconoscimento e promozione del terzo sistema. Ma, per il modo in cui sono state concepite, le leggi appena ricordate si stanno rivelando ancora troppo timide e anche troppo strumentali, nel senso che corrono il rischio di configurare il terzo sistema come un insieme di «agenzie di seconda o terza classe» che servono più che altro a scaricare il welfare state dalle sue responsabilità. Vi sono certamente differenze: la legge sulla cooperazione sociale è decisamente più rispondente alla natura del terzo sistema di quanto non lo sia quella sul volontariato, che ha avuto alla sua origine motivazioni dichiaratamente strumentali (non già riconoscere e promuovere il volontariato, ma definire le condizioni delle «convenzioni» fra organismi di volontariato e istituzioni pubbliche). Inoltre, si deve notare che manca ancora una legislazione appropriata in merito alle associazioni sociali (vi sono attualmente varie proposte e disegni di legge, che tuttavia rivelano ancora difficoltà nel configurare il terzo sistema come realtà sui generis). Infine, si deve essere avvertiti che ogni legge - e oggi ne abbiamo già indubbi segnali soprattutto per la legge-quadro sul volontariato - , possono produrre effetti perversi (come una crescente burocratizzazione) se non vengono interpretate e sostenute secondo una comprensione profonda del terzo sistema come «realtà originaria», quale ho cercato qui di delineare brevemente. Molti condividono l'idea che ci si possa 45 e ci si debba orientare verso una «soluzione statutaria» per il terzo sistema, cioè una soluzione istituzionale capace di collocarlo ad un livello di pari dignità con gli altri partners (Stato e mercato), nel quadro di una nuova cittadinanza societaria. Ma per una tale, possibile nuova configurazione del terso sistema, sembra che ci sia ancora molto da lavorare. NOTE: 1Cfr. H.K. Anheier, W. Seibel (eds.), The ThirdSector: ComparativeStudies of NonprofitOrganizations, Walter de Gruyter, Berlin-NewYork, 1990, pp. 380-385. 2Sulla teoria dei beni relazionali cfr. P. Donati, La cittadinanza socie/aria, Laterza, Roma-Bari, 1993, cap. 2 (in corso di stampa). Con il termine bene relazionale intendo un bene che può essere prodotto e fruito soltanto assieme da coloro i quali ne sono, appunto, gli stessi produttori e fruitori, tramite le relazioni che connettono i soggetti coinvolti: il bene è dunque detto relazionale per il fatto che è ( «sta nella») relazione. 3In positivo, si segnalano in particolare i tentativi svolti in Italia da economisti come B. Gui e C. Borzaga, orientali alla comprensione economica del non prolit come categoria a sé. Cfr. C. Borzaga (a cura di), Il Terzo Sistema: una nuova dimensione de]la complessitàeconomicae sociale, Edizioni Fondazione E. Zancan, Padova, 1991. 4Si tratta della legge Il agosto 1991, n. 266, la quale, mentre riconosce le organizzazioni di volontariato come autonomie sociali, lo fa entro l'obiettivo esplicito e dominante di sovvenire alle carenze degli apparati pubblici dello Stato sociale. Le ambiguità cui faccio riferimento stanno nel fatto che la valorizzazione del volontariato è /imitala a]leorganizzazioniformali che vengono registrate ed ha un carattere paternalistico (la loro autonomia viene infatti salvaguardata'). Esse vengonopromossenena misura in cui si inquadranonelle finalità indicate dalloStato: «LaRepubblica italiana - recita l'art. I, c. I - riconosce il valore sociale e la funzione dell'attività di volontariato come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo, ne promuove lo sviluppo salvaguardandone l'autonomia e ne favorisce l'apporto originale per il conseguimento delle finalità di carattere sociale, civile e culturale individuate dallo Stato, delle regioni, dalle provincie autonome di Trento e di Bolzano e dagli enti locali». 5Si tratta della legge 8 novembre 1991, n. 381, che intende promuovere la nuova figura delle «cooperative sociali» definite come cooperative che «hanno lo scopo di perseguire l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini attraverso: a) la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi; b) lo svolgimento di attività diverse - agricole, industriali, commerciali o di servizi - finalizzate all'inserimento lavoratori di persone svantaggiate» (art. I. c. I). Tali cooperative possono avere soci volontari (in numero non superiore alla metà del numero complessivo di soci), possono lare convenzioni con enti pubblici, hanno un regime tributario particolare (sono esentate dalle imposte sui trasferimenti per successione o donazione, e godono di altre agevolazioni) possono formare consorzi con altri tipi di cooperative, hanno un albo regionale e sono intitolate ad azioni di promozione, sostegno e sviluppo da parte delle Regioni.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==