di del diritto) per la imposizione forzosa delle obbligazioni di cittadinanza (in primis tasse e contributi) e la redistribuzione delle risorse; - il terzo settore come insieme delle organizzazioni autonome non di profitto che agiscono sulla base di scopi solidaristici usando primariamente, anche se non esclusivamente, mezzi solidaristici; - le cosiddette reti primarie, cioè famiglia, parentela, gruppi amicali e reti informali, che possono essere considerate come un «quarto sistema» se e in quanto se ne vedono le funzioni sociali insostituibili (senza equivalenti funzionali). In linea di principio, si potrebbe parlare anche di un Quinto Sistema costituito dai soggetti che fanno ricorso a combinazioni miste di fattori e risorse provenienti dagli altri quattro. Questo schema incorpora quello precedente (basato sulle semplice distinzione pubblico/privato), ma ad un livello di differenziazioni assai più elaborate. Il versante mercato-Stato definisce la sfera pubblica in senso moderno, il versante terzo sistema-reti informali definisce il versante privato, sempre secondo le categorie interpretative della modernità. Ma le nuove distinzioni appena dette ci consentono tuttavia di andare ben oltre nella comprensione dei processi in atto. La realtà è che i confini fra tutti questi settori variano in continuazione, perché essi si riorganizzano a seconda delle esigenze «temporali» e «locali» (dunque: nello spazio-tempo). Tutti i più recenti tentativi di tracciare una mappa e dei confini determinati hanno dovuto concludere che tale obiettivo ha poco senso. Si deve procedere in un altro modo. Le teorie politologiche e giuridiche non hanno ancora definito il terzo settore (né tanto meno quello informale), perché esse restano in genere legate al quadro della modernità, mentre qui siamo già oltre la modernità e le sue originarie istituzioni politiche e giuridiche. Si dovrebbe anche sviluppare un diritto sociale come espressione di queste realtà emergenti, ma i giuristi hanno grosse difficoltà a intendere che cosa ciò significhi. Così, ancor oggi il terzo settore deve essere collocato nella sfera giuridica del privato, ciò che contrasta con la sua natura sociale (per quanto non pubblica). .{)!LBIANCO ~ILROSSO OXfSSOIII (ii) La seconda argomentazione, in qualche modo complementare alla prima, vede le cose dall'angolatura della teoria dei beni. In un approccio più specifico, di carattere originariamente economico, il terzo sistema può trovare una teorizzazione particolare pe!' riferimento al tipo di beni che vengono prodotti. Ossia: il terzo sistema si caratterizza per la produzione di beni peculiari la cui comprensione richiede una teoria sociologica generalizzata (non meramente economica) dei beni sociali. In sintesi: se lo Stato produce beni pubblici, e il Mercato beni privati, per il terzo settore si dovrebbe parlare, a mio avviso, di un economia di condivisione (sharing), ossia della produzione di beni relazionali collettivi. Questi ultimi sono in buona misura interdipendenti e interrelati con quel settore della società che produce beni relazionali primari2 , i quali hanno il loro referente basilare nelle reti di solidarietà primaria (famiglia, reti parentali e amicali). Il carattere relazionale ha il suo paradigma di riferimento culturale-simbolico (non certo quello organizzativo) nel sottosistema della famiglia e delle reti primarie (da cui provengono, peraltro, quei fondamentali mezzi simbolici generalizzati di interscambio che sono la fiducia e la reciprocità). I beni relazionali collettivi sono pure relazioni sotto l'aspetto della condivisione nella loro sfera di autonomia sociale specifica. I beni pubblici non sono necessariamente relazionali (anche setalora possono esserlo), perché implicano forme di comando e aggregazioni di carattere impersonale, formale e astratto. I beni privati non sono relazionali «per definizione», in quanto non implicano necessariamente condivisione. Dal punto di vista che qui si vuole proporre, il bene pubblico è una forma costrittiva di sharing, mentre il bene privato non implica di per sé alcuna condivisione (sharing). I beni prodotti dal terzo sistema, invece, implicano condivisione, non possono essere che prodotti e fruiti assieme, su basi volontarie, secondo un continuum più o meno regolato di formalizzazione delle relazioni: più regolate nel terzo settore al confine con i beni pubblici, meno regolate nel Quarto settore, detto informale, al confine con i beni privati. Secondo questa argomentazione, dun44 que, il terzo sistema produce beni relazionali, primari e collettivi. La teoria economica non ha però ancora una eleborazione convincente dei beni relazionali. La ragione di tale deficenza, a questo punto, dovrebbe essere chiara. Come nel caso del diritto, anche la teoria economica è costruita sulla dicotomia pubblico/ privato. Per quanto emergano oggi nuovi tentativi di introdurre una terza categoria3, la teoria economica non ha ancora veramente preso atto che la società deve differenziarsi, e dunque deve produrre una nuova relazionalità, assolutamente senza precedenti. I recenti tentativi di introdurre la categoria dei «beni pubblici intermedi» ovvero di ripensare all'offerta e produzione privata di beni pubblici sono ancora bel lontani da una tale visione. In un approccio relazionale, il terzo sistema non è un mix di pubblico e di privato, ma una realtà sui generis. La relazionalità che sta alla base dell'emergere del terzo sistema va letta come morfogenesi qualitativa del sociale in quanto relazione di gruppo (intersoggettiva) e in quanto relazione istituzionale (funzioni svolte per l'assetto del sistema societario). Ma in che cosa consiste questa morfogenesi? In breve, risponderei come segue. (a) Da un lato, i gruppi sociali primari e secondari diventano sempre più autopoietici, cioè tendono a costituirsi alla base di comportamenti sempre più individualizzati e autonomi da parte di soggetti che sono anche titolari di crescenti diritti individuali. Si evidenzia la necessità di una nuova auto-normatività sociale dei gruppi primari e secondari. Che tali soggetti diventino più auto-poietici significa che tendono a farsi norma a se stessi, a creare da sé le proprie strutture relazionali. Apparentemente ciò avviene sulla base di comportamenti altamente individualizzati. Si dice: la famiglia, i gruppi di volontariato, le associazioni, le cooperative, diventano sempre più un intreccio di corsi di vita individuali assai contingenti. In realtà è un nuovo ordine sociale che emerge, nel quale tali forme di agire sociale sono allo stesso tempo cercate come ambito di umanizzazione e inibite come strutture di azione solidaristica veramente autonoma. Non si capirebbe perché, allora, benché il nostro ordinamento giuridi-
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