produce ricchezza, ma si ha l'obbligazione a concorrere alla ricchezza della società perché si è cittadini. Universalismo non è garantire tutto a tutti. È mettere in campo una cittadinanza delle pari opportunità che sia realmente promozionale, che punti a sviluppare le capacità e le responsabilità di ogni persona. Una cittadinanza attiva centrata su strategie di selezione positiva a favore dei più deboli e sfavoriti. Non più dunque strategie di cittadinanza sociale che si limitano a redistribuire (con apparati costosi che consumano ingenti risorse) la ricchezza e le opportunità prodotte dal mercato e regolate dallo Stato. Ma strategie di cittadinanza sociale che producono e valorizzano esse stesse ricchezza. Il lavoro non è più la porta d'ingresso alla cittadinanza, ma un vettore centrale per il suo sviluppo. Non ho diritti sociali perché lavoro, ho diritto al lavoro perché sono cittadino e lavorando arricchisco la mia titolarità ai diritti sociali. Un analogo riconoscimento, però, deve andare a chi produce ricchezza sociale. {'!LBIANCO ~ILROSSO 11111 $ 111 C'è molto lavoro che non produce ricchezza sociale, ma arricchimento privato ad alti costi sociali. E ci sono molte attività fuori del mercato e dello Stato che producono sviluppo sociale di alta qualità. Pensiamo all'attività di cura nelle famiglie e nelle comunità; pensiamo al volontariato di solidarietà sociale; pensiamo, più in generale, a tutte le iniziative socialmente utili che operano per il concreto incivilimento della società. Valutate a partire dalla centralità del mercato e dalla opzione statalistica esse sono state relegate fino ad oggi nell'ambito della «riproduzione quotidiana» della società e delle private virtù. In realtà esse hanno una precisa dimensione economica e, soprattutto, costituiscono altrettante frontiere civili dello sviluppo. Investire su di esse non vuol dire dislocare risorse in ambiti improduttivi. Vuol dire anzi, riscontrare un rapporto fortemente positivo tra costi/benefici: si valorizzano risorse altrimenti sottoutilizzate; si attivano responsabilità altrimenti svuotate dagli apparati amministrativi; si sviluppano autonome capacità di risposta delle comunità A, if 1'41 ..~4· -~,' locali ai bisogni di cittadinanza sociale; si accorcia la distanza tra l'astratto diritto di cittadinanza e la sua concreta fruibilità. È una linea diversa da quella del «meno stato più mercato», una linea che qualifica la prospettiva «meno stato più società» nel senso del «più cosa pubblica meno stato». È la linea che tra stato e mercato mette in campo un «terzo sistema»: quello delle reti civili di solidarietà. Del welfarestate, questo «terzo sistema» assume e ridefinisce i fini redistributivi e i doveri di solidarietà ma abbandona l'assistenzialismo, l'utilitarismo individualista, lo svuotamento delle solidarietà comunitarie; del mercato assume la logica imprenditiva e le strategie di valorizzazione efficace delle r-isorse,ma abbandona la logica consumistica e ingiustamente selettiva verso i più deboli. Una welfare-society, in definitiva, che non è più apparato distributivo di una ricchezza prodotta altrove, ma che è essa stessa esercizio attivo e diretto di cittadinanza civile e politica, potente fattore di sviluppo ad alta qualità sociale. ,'i ..~',.~===~~-:;~~ ---•----~---- ... --•••••• -••-•W<•••••-·• •• •••-• • 42
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