Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 38 - marzo 1993

riamente dinamico, allocando consumo e risparmio tra generazioni tenendo conto delle condizioni dell'efficienza e dell' equità (cioè dell'aspetto redistributivo). Il carattere intergenerazionale del!' azione dello Stato può, comunque generare risultati perversi che ostacolano lo sviluppo e ingigantiscono le disparità. Si pensi ad esempio al sistema pensionistico, in teoria strumento che permette di legare tra loro diverse generazioni in termini di capacità di acquisto e di risparmio intertemporale; uno strumento che se utilizzato in maniera inefficiente, o, come nel caso italiano, in maniera irresponsabile, può far sorgere forti inequità distributive e seri effetti sulla possibilità di sviluppo delle generazioni future in termini di stock di capitale disponibile. Sembra innegabile che in quest'ultimo caso il libero mercato produrrebbe risultati superiori. Riguardo la relazione tra agenti economici, una visione liberistica negherebbe l'interessamento dello Stato a qualsiasi politica dei redditi, essendo quest'ultima superflua, in quanto dominata dall'operare efficiente dei mercati. Questa visione ci appare riduttiva. Una soluzione cooperativa tra gli agenti economici è sempre superiore ad una conflittuale, e lo Stato in {).!J, BIANCO ~ILROSSO 1 •11 SSi 8 ;J queste interazioni non può non prendervi parte, in quanto le caratteristiche delle economie moderne hanno richiesto una formulazione della politica dei redditi che acquista una rilevanza ben oltre il mercato del lavoro. Di nuovo, se ciò è inteso a definire il ruolo dello Stato come armonizzatore di interessi tra le varie parti, così come è stato in realtà, il risultato non può essere che quello di spostare nel futuro i problemi attuali. Viceversa, la legittimazione dello Stato è richiesta dal fatto che gli agenti possono essere prevalentemente «miopi»nelle loro decisioni, possedendo, di fatto, una razionalità limitata qualora operino in condizioni di incertezza. Inoltre essi non hanno, singolarmente considerati, né interessi solidaristici né intertemporali. Il ruolo dello Stato nell'economia moderna non può prescindere dal modo in cui è configurata la sua costituzione e le sue istituzioni. L'evidenza empirica mostra come nei paesi industrializzati leggi elettorali caratterizzate da un eccessivo grado di proporzionalità determinano una frammentazione degli interessi e del sistema dei partiti che li rappresenta, richiedendo governi di coalizione, necessariamente instabili, incapaci di limitare la crescita dei disavanzi pubblici, la di40 struzione di risparmio e l'accumulazione del debito. In questa situazione istituzionale e politica, i problemi dell'efficienza e della crescita non emergono a causa dell'instabilità della situazione stessa, estremamente sensibile a shock di ogni natura. I governi si susseguono, tendono a acquisire i connotati «miopici» dei singoli agenti economici, perdono la loro rilevanza intertemporale e intergenerazionale, fondamentale per lo sviluppo economico. Questa situazione genera divergenze sempre più ampie dell'economia dal suo sentiero più efficiente, e ciò sembra non preoccupare eccessivamente gli esecutivi in quanto il «salto»sul «sentiero di equilibrio» dell'economia in termini di debito, crescita occupazione e inflazione viene continuamente rinviato, aumentadone l'onerosità, alle prossime generazioni di individui e di governi. In questo contesto, discutere sullo Stato di benessere o sulle politiche di stabilizzazione risulta fortemente limitativo. In definitiva, il punto in discussione non è il rapporto tra Stato e mercato, quando gli incentivi e i disincentivi, le istituzioni e i processi giuridico-decisionali che caratterizzano i comportamenti impropri e inefficienti di chi determina la politica economica.

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