{)!.LBIANCO ~ILROSSO 1111..i§OHA Stato,economia,sviluppo: oltrel'inefficienza ' E difficile oggi non abbracciare un'ottica più liberistica sull'intervento dello Stato. Il caso italiano è istruttivo al riguardo, le conseguenze della dimensione della crisi della finanza pubblica e dell'i· ,1efficienza di tutti i servizi pubblici non è più oggetto di discussione ma una realtà che in diversi modi influenza la vita di ogni cittadino. Tuttavia non è tanto la visione di intervento keynesiana che è in discussione, quanto le caratteristiche che assume nelle economie moderne: un utilizzo teorico-accademico teso a legittimare processi decisionali e legislativi che richiedono necessariamente lo squilibrio fiscale e un uso subottimale delle risorse. In questo contesto una serie di servizi cruciali per la crescita economica non possono essere determinati da un monopolio. Di per sé, un monopolio genera un risultato inferiore rispetto ad una situazione concorrenziale. Se, in aggiunta, il monopolio è gestito e regolato da una serie di incentivi che non hanno nessuna relazione con i caratteri dell'economicità o dell'efficienza, produce risultati catastroficiin termini di equità e sviluppo. Dunque, non è in discussione il «dittatore keynesiano» che incide sull'economia con la sua politica attiva, che ovviamente non esiste o esiste soltanto in vecchissimilibri di testo, ma lo Stato e le sue istituzioni in quanto «soggetti» non-omogenei, le cui decisioni sono frutto di innumerevolisoluzioni conflittuali tra la miriade di attori che lo compongono. Buchanan, la scuola delle Scelte Pubbliche e del Costituzionalismo economico hanno fornito importanti contributi nell'individi BrunoChiarini duare le relazioni e i vincoli che si generano Ira politica ed economia e gli incentivi che i vari attori coinvolti possiedono nel determinare in ultima analisi comportamenti consistenti con risultati economici caratterizzati dallo squilibrio fiscale, dall'inflazione e dall'inefficienza. I flussi di spesa non sono di fatto determinati dal ciclo economico, e quindi dalla necessità di ammortizzare le fluttuazioni del prodotto e dell'occupazione, ma seguono elementi più direttamente legati al «voting». Questi elementi tendono a irrigidire la manovra dello Stato, e coslitui- ~::+1....(i.-~ ~~~ rr-~ \ 1~ li n I I ~- ·=~~ -~~\.. -- - - ---· 39 scono perciò un impedimento della messa in pratica delle politiche keynesiane. Nella sua origine il dibattito tra keynesiani e Milton Friedman sulle politiche attive era centrato sulla possibiilità che l'intervento dello Stato con una funzione obiettivo i cui argomenti erano definiti in termini di crescila, occupazione e inflazione, potesse generare o no una fluttuazione di queste variabili contraria e di analoga grandezza a quella che determinava l'operare del libero mercato. La complessità dinamica delle relazioni economiche creava un'incertezza che poteva contribuire a destabilizzare l'economia piuttosto che stabilizzarla. Oggi si tratta di stabilire se il governo (gli allori che lo definiscono) sia veramente interessato ad una qualsiasi funzione obiettivo che non gli garantisca la permanenza al potere. Una visione apertamente liberistica sembra quindi indispensabile per migliorare l'efficienza dell'economia. Tuttavia questa negherebbe allo Stato la legittimità di influenzare le relazioni Ira agenti economici, e di intraprendere qualsiasi politica di solidarietà sebbene il perfetto funzionamento dei mercati non implichi affatto equità. Questi due aspetti sono importanti per ridefinire un ruolo dello Stato nelle economie moderne. In particolare è importante accentuare il suo carattere interlemporale: le generazioni di individui (consumatori, lavoratori, famiglie, imprese) possiedono una vita limitata, mentre lo Stato (o il governo) è un soggetto economico che rimane nel tempo e che può, quindi, imporre e garantire il rispetto di particolari contratti sociali Ira generazioni diverse. In questo senso è l'unico «soggetto» che può coordinare lo sviluppo economico in quanto processo necessa-
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