Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 38 - marzo 1993

{)!LBIANCO ~ILROSSO OXffflèt•Hil WelfareState,WelfareSociety, WelfareCommunity - I 1Welfare State e le politiche keynesiane sono state indubbiamente le «invenzioni» più efficaci per affrontare le problematiche create dai meccanismi di sviluppo del capitalismo. - Sebbene il primo tragga il suo impulso originario da un intervento illuminato dei rappresentanti di una classe dirigente di stampo decisamente conservatore, non v'è dubbio che abbia rappresentato nel nostro secolo uno strumento formidabile di progresso sociale e civile. Soprattutto negli ultimi cinquant'anni la crescita dell'intervento pubblico nelle questioni sociali, dall'istruzione alla sanità, dalle pensioni alle politiche per l'occupazione, dalla casa ai servizi sociali alle persone, ha rappresentato, sia pure ispirato da filosofie pubbliche tra loro spesso assai differenti, una caratteristica comune a tutti i paesi industrializzati del- !'occidente. L'ultimo decennio ha visto invece crescere un intenso dibattito, come pure scelte politiche concrete, volte a mettere profondamente in discussione le dimensioni e le tipologie dello Stato del Benessere; un po' ovunque si è ritenuto che occorresse rallentare la crescita della sfera pubblica d'intervento, quando non ditagliarne drasticamente le risorse a disposizione. Si è tentato di demonizzare la spesa sociale, di farla apparire come la principale responsabile della crisi fiscale, e quindi del rallentamento della velocità di crescila, nonché delle distorsioni dei sistemi economici nazionali. Si è teso così a rivalutare il ruolo che deve assumere il privato, volta volta identificato con i soggetti del mercato, l'aziodi Ugo Ascoli ne volontaria o, ancora, con il sistema famigliare-parentale. Fuori dal nostro paese sono state elaborate nuove formule «magiche» che dovrebbero indicare la strategia di riconversione si parla di «nuova economia politica» (new politica! economy), «welfare pluralistico» (welfare pluralism), «Stato ombra», «governo tramite terzi» (third-party government), «Stato che conferisce poteri» («Enabling State»), «pubblica amministrazione indiretta», «economia sociale». Comune a tutte queste impostazioni è l'idea che il ruolo dello Stato debba ridursi a livello quantitativo e modificarsi a livello qualitativo: spesa sociale più contenuta, minore erogazione e gestione diretta di servizi, maggiore ruolo welfaristico affidato agli altri soggetti non pubblici. In Italia si è recentemente scritto di «Welfare society», «Welfare network», «Welfare Community», «Welfare della responsabilità»: comune a tutte queste definizioni appare certamente la difesa di un ruolo strategico del pubblico nel sistema nazionale di protezione sociale; ciò che cambia in questi progetti è l'ingegneria sociale che deve essere attivata. Qualcuno ha anche auspicalo il passaggio della cittadinanza statalistica ad una «cittadinanza societaria», a sottolineare l'esigenza di nuovi rapporti fra Stato e società. Contro questi tentativi di riprogettazione delle politiche sociali ha invece operato con grande efficacia il partito del mercato: le recenti riforme del sistema pensionistico e del sistema sanitario, il ridisegno del ruolo delle parti sociali nella macchina welfarista al fine di diminuire le capacità di controllo, il taglio progressivo dei servizi sociali alle persone tramite gli spazi sempre più esigui a disposizione 37 della finanza locale, costituiscono indubbiamente gli aspetti più eclatanti del tentativo in atto nel nostro paese di rivincita del mercato. Parlare di« Welfare Society» (e di Welfare Community) significa immaginare un sistema di welfare basato sulla massima estensione della cittadinanza sociale, sulla centralità dell'individuo, sull'universalismo e sulla costruzione di profonde «reti di reciprocità». I principi ispiratori di tale sistema dovrebbero essere, oltre all'universalismo, la reale uguaglianza delle opportunità e la meritocrazia, la solidarietà, la libertà dell'individuo e la sua piena realizzazione di sé all'interno di un tessuto «comunitario». Si dovrebbe arrivare ad una «rete» di protezione sociale dove al soggetto pubblico venga riconosciuto un ruolo centrale, ma ove siano contemporaneamente attivate e promosse le infinite energie della società in funzione attiva e consapevolmente partecipe, dalle associazioni e organizzazioni volontarie, ai gruppi di self-help e mutuo aiuto, alle famiglie, ad altre forme da promuovere. Diritto al lavoro e al reddito, inteso come una quota-base di risorse atte ad assicurare un livello decoroso di esistenza, dovrebbero essere garantiti a tutti: si dovrebbe addirittura tendere ad una «cittadinanza universale», «superando la dicotomia "diritti dell'uomo"/"diritti del cittadino" e riconoscendo a tutti gli uomini e le donne in quanto persone, i medesimi diritti fondamentali». Gli interventi dei soggetti pubblici dovrebbero essere modulati secondo le esigenze del territorio, dotati di grande flessibilità, e di obiettivi de-istituzionalizzanti, caratterizzati da una grande attenzione per gli aspetti relazionali delle prestazioni.

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