Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 38 - marzo 1993

sponsabilizzazione parziale dello Stato e la correlata rivalorizzazione del privato sociale mediante le convenzioni; soprattutto, intervenendo sul contenimento della spesa: riducendo le risorse statali mediante l'incentivazione delle iniziative privale di assicurazione e di proiezione sociale, responsabilizzando gli utenti, ad es. aumentando i contribuii ed introducendo il ticket, o fiscalizzando i costi come in Francia ove nel 1988 è stata introdotta la «conlribulion sociale Généralisée» che opera sui redditi da capitale e da lavoro. Il campo riformista europeo è occupato da due filosofie opposte: la prima opta per una terapia d'urto, sostituisce il Welfare con il Workfare, una logica che, valorizzando le considerazioni economiche, spinge a fondo sulle privatizzazioni; la seconda, più soft, nell'intento di personalizzare e umanizzare le prestazioni, punta sul decentramento, la deislituzionalizzazione, la costituzione della «Community care», cioè la responsabilizzazione piena della Comunità locale. In realtà, è comune l'urgenza riformistica: sta emergendo un nuovo modello continentale che sia a metà strada Ira la tipologia Usa selettiva e privata e l'istanza scadinava totalizzante «dalla culla alla tomba». È un mix composto da 4 capitoli fondamentali lungo i quali anche il nostro paese si sta muovendo: una divisione del lavoro Ira il pubblico (lo Staio) che legifera, finanzia e controlla e un privato (sociale e profit) che esegue e realizza; un incremento del privato sociale che, organizzato e convenzionato, offre stimoli culturali per l'innovazione, la flessibilità, le energie; un'emersione del «privato profit» che entra in competizione con il privato sociale e con il pubblico; e, infine, una rivalorizzazione di quella rete informale, anche di volontariato, che continuativamente garantisce risposte ai bisogni dei soggetti più deboli dentro e fuori le mura domestiche. Le misure proposte o in via di attuazione comportano dei rischi: la privatizzazione divide i cittadini ed erode il diritto di cittadinanza; il decentramento richiede capacità operative diffuse a livello territoriale, tutte da coi)!LBIANCO OIL, ILROSSO OtitM•H;I struire; il volontariato deve liberarsi da una visione filantropica e dotarsi di adeguale professionalità ... Tuttavia l'universalismo deve essere rivisto: lo Stato Sociale non può essere pagato da pochi e invocato da tutti; l'egualitarismo va riconiugato e rimiscelato tra meriti, capacità e bisogni. Soprattutto, occorre ridurre l'erogazione a pioggia di sostegni monetari a favore di servizi di sviluppo per l'accesso al diritto di cittadinanza, quale una formazione che alzi il livello di occupabilità e una sanità che tuteli il benessere psico-fisico e prevenga l'insorgenza di malattie croniche e degenerative. Nessuno è contento del proprio sistema È noia la battuta di W. Allen: «Dio è morto, e io non mi sento molto bene». Il Welfare non gode di buona salute; ma non stanno meglio le società senza reti protettive. «Nessuno è contento del proprio sistema», sentenzia un recente articolo del settimanale «The Economist»; non lo è l'Europa che negli ultimi 120 anni di storia ha costruito il Welfare State o Staio del (quasi) benessere; non lo sono i paesi ricchi del libero mercato e dell'assicurazione privala che pure devono affrontare gli stessi problemi dell'esplosione dei costi. Come noto, Clinton ha nominato una speciale task farce con il compilo di affrontare lo spinoso tema della sanità. Nel 1992 le spese sanitarie statunitensi ammontarono a 800 miliardi di dollari, uno ogni sette dollari spesi nell'intera economia; e benché «nominalmente» il sistema sia di tipo privatistico, la sanità ha consumato il 16% del budget finanziario federale, equivalente a 250 miliardi di dollari, senza coniare gli altri 115 miliardi spesi dai governi statali e locali. Nonostante queste ingenti masse monetarie pubbliche, oltre 35 milioni di cittadini americani sono fuori del sistema sanitario. A loro volta i paesi del Sud-Est asiatico rifiutano lo Stato sociale perché lo giudicano la droga che ha sterilizzato la vitalità dell'Occidente. Le «tigri asiatiche», ad eccezione di Cina e Giappone, spendono il 34 17% delle risorse pubbliche per la formazione a fronte di un 4,5% in media dei paesi occidentali, e quattro volte di più in infrastrutture. In altre parole, le «tigri» investono nel capitale umano e nelle infrastrutture anziché nelle reti protettive del cittadino; ma più diventano ricche più queste società tendono a diventare democratiche e più si fanno sentire le voci che reclamano sicurezze sociali: succede nella Corea del Sud, in Tailandia. Anche in quelle parti del pianeta, come negli Usa, il confine tra spese produttive e spese improduttive è in movimento; molte spese sociali si collocano in una zona grigia tra le due classificazioni. Non avendo analizzato le caratteristiche dello Staio sociale italiano, non sono autorizzato ad esprimere una valutazione sulle linee di marcia tracciate dalle riforme delle pensioni, della sanità, dei servizi sociali alla luce delle legge 142/'90. Ma, in generale, non mi pare corretta la drammatizzazione verbale quotidianamente evocata e usata. Più che di rifondazione, rigenerazione, ristrutturazione, è meglio parlare di evoluzione, anzi di tentativi un po' affannati di contenimento dei costi, per di più in un clima poco propizio. In campo sociale, le riforme equivalgono ad una riscrittura del patio sociale; ciò può avvenire solo in presenza di una forte legittimazione della politica, delle istituzioni e, dunque, di un clima sociale mobilitato. Si continuerà ancora a parlare di decentramento, di responsabilizzazione, di razionalizzazione, di competitività, di managerialità, di gestione, di sterilizzazione degli sprechi. Ma la sfida vera si colloca più in profondità; è stata delineata lucidamente da P. Flora qualche anno fa; il nuovo patto sociale all'altezza della nuova struttura della solidarietà richiede una pluralità di patti: Ira generazioni, Ira i sessi, tra Staio e mercato. Per esempio, si dovrà decidere se continuare a spendere (molto di) più per le pensioni che per la formazione, se si deve continuare a privilegiare il trasferimento monetario a sostegno del reddito o, piul· tosto, allestire servizi.

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