Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 38 - marzo 1993

{)!L BIANCO ~ILROSSO 011 #11HA Evoluzioneemutamento delWelfareState p ochi in Italia se ne sono accorti: il Welfare delineato da Beveridge in piena seconda guerra mondiale compie 50 anni. Per commemorarlo si sono riuniti a York, in Inghilterra, più di 400 specialisti di sicurezza sociale provenienti da 38 paesi. Secondo lo storico americano P. Baldwin l'eredità di Beveridge è tanto importante quanto le rivoluzioni francese e russa: non perché ha «salvato» il capitalismo, ma perché è riuscita a comporre i principi confliggenti di due filosofie antagoniste, il collettivismo e l'individualismo, mediante l'introduzione della cittadinanza sociale. Il Welfare di Beveridge ha garantito la «sicurezza» del collettivismo attraverso l'assicurazione universale contro il rischio - perdita del lavoro, infortuni, malattia, vecchiaia - mentre allargava a tutti gli individui, più propriamente ai cittadini di una comunità, la libertà negata agli schiavi nella società feudale e ai sudditi nel sistema sovietico. La spinta per questo mix di sicurezza sociale e di responsabilità individuale è la risposta attiva e solidaristica di un popolo in guerra: in mezzo a bombardamenti, distruzioni, morte, penurie, tutti si rendono conto che occorre affrontare e vincere scommesse inquietanti quali il lavoro, il reddito, la salute, la casa, i diritti all'istruzione e ad una vecchiaia dignitosa. In realtà, il Welfare è una costruzione socio-economica continentale che si afferma negli ultimi 120 anni: accompagna la trasformazione degli Stati nazionali in democrazie di massa fondate sul diritto di cittadinanza che conferisce ad ogni membro della comunità il diritto civile della libertà individuale, il diritto politico della di Emidio Pichelan partecipazione al potere, e il diritto sociale di un livello minimo di benessere economico, di sicurezza sociale e di patrimonio culturale. A partire dalla fine del secolo scorso, si produce una redistribuzione del reddito mediante lo sviluppo di 4 sistemi principali di sicurezza in relazione a 4 tipi di rischio: infortuni sul lavoro, malattia e invalidità, vecchiaia, disoccupazione. In sintesi, lo Stato sociale è laricerca dinamica di un equilibrio tra Stato e mercato, tra società politica e società civile secondo un patto che riconosce gli attori, le modalità dei conflitti, i requisiti di inclusione - esclusione dei gruppi in una democrazia che rinnova e realizza il patto di cittadinanza tra governanti e governali. Meriti e demeriti del Wellare State A 20 anni da una diffusa implementazione e a 120 dal suo decollo, a partire dagli anni '70 il Welfare entra in una crisi generalizzata. I capi di accusa sono puntuali e ad ampio spettro: lo Stato sociale costa troppo, è inefficiente, è ingessato. In altri termini, i servizi del Welfare - previdenza, sanità, ammortizzatori sociali come la cassa integrazione, scuola, casa - reclamano sempre più risorse finanziarie a fronte di prestazioni scadenti e dequalificate. Le critiche possono essere ricondotte ad una duplice tipologia. Da una parte, il neoliberalismo economico dei «Chicago boys» denuncia un trend autodistruttivo: i mezzi di alimentazione del Welfare richiedono una grande pressione fiscale, in tal modo drenando risorse che vengono distolte dalla loro destinazione «naturale» - gli investimenti - per essere utilizzate 32 a sostegno di chi non ha voglia di lavorare. Il circuito sequenziale perverso si sviluppa lungo la seguente catena di cause ed effetti: la spesa pubblica alimenta il deficit pubblico, ciò produce inflazione e depressione degli investimenti, cade l'occupazione al cui sostegno si interviene con altra spesa pubblica, maggior deficit, più inflazione, meno occupazione. Dall'altra, la critica politico-sociale parte della crisi fiscale dello Stato ad eccesso di spesa per un sovraccarico di domanda sociale. In altri termini, le società moderne sono diventate sempre più complesse e, dunque, ingovernabili; lo Stato si è avventurato al di là dei suoi compiti istituzionali - garantire i confini nazionali, l'ordine e la legalità al suo interno -, si deve dunque ritirare. «Meno Stato e più mercato» è lo slogan predicato dai revisionisti. L'attacco al Welfare è frontale; e diventa politica governativa nel decennio reaganiano-thatcheriano. Al di là del furore iconoclastico anti Stato sociale diffuso a piene mani negli anni '80, occorre riconoscere che molte delle critiche non sono invenzioni fantasiose. Tuttavia, non colgono la principale antinomia; a tutt'oggi, nessun Stato sociale è riuscito a trasformare la protezione e la sicurezza in liberazione finale del cittadino; l'autonomia, la libertà, la cittadinanza non sono tali finché vengono «garantite» dallo Stato. Con una punta di estremismo, si può dire che il bisognoso è passalo dalla carità religiosa alla tutela dei politici. Per gravi che siano le sue contraddizioni, lo Staio sociale non ha alternative; come la democrazia, è pieno di difetti ma è il miglior assetto tra quelli che si conoscono. Sulla colonna positiva, vanno ascritti

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