D!LBIANCO QiL. ILROSSO iilki+ilii+i zione allo sviluppo è stata finalizzata, con pessima astuzia politica, al finanziamento dell'indicizzazione delle pensioni e all'immigrazione, togliendo ai poveri il necessario per soddisfare altre fasce bisognose. Una doverosa duplice iniziativa è ora necessaria: che il comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo (Cics) utilizzi il dimezzato stanziamento per la cooperazione bilaterale per avviare le iniziative più rispondenti alle finalità della legge, cioè quelle a dono; che il governo e il parlamento, fin dalla finanziaria prossima, mantengano fede all'impegno preso dall'Italia in tutte le sedi internazionali di destinare gradualmente lo O, 7% del Pil per gli aiuti allo sviluppo. Se l'iniziativa «governativa» non ha dato i risultati attesi per lo sviluppo del Pvs (ed è una constatazione generale, valida per l'Italia ma anche per molti altri paesi), occorrerà affiancarvi e valorizzare molto più che nel passato, l'iniziativa «non governativa», cioè la cooperazione diretta tra soggetti sociali del Nord e del Sud. Normalmente si identificano i Pvs con i loro governi. È un errore che ha contribuito non poco alla situazione attuale. Oltre ai governi (quanto rappresentativi, quanto democratici, quanto rispettosi delle libertà e dei diritti fondamentali, quanto meritevoli di fiducia, è poi tutto da verificare, anche se restano comunque interlocutori indispensabili), esiste la società, con varie e talvolta avanzate forme di organizzazione, da quelle produttive, a quelle sociali, a quelle istituzionali - anche tradizionali - a quelle culturali, ecc. La cooperazione tra governi, almeno come è stata concepita e realizzata fino ad ora, ha favorito l'arricchimento di limitatissime e privilegiate élites locali burocratiche o affaristiche poco interessate allo sviluppo diffuso, alla partecipazione e alla crescita sociale, economica e culturale della gente. Non si tratta certo di agire a scatola chiusa, ma di selezionare e rafforzare quelle espressioni di cooperazione che sono il risultato di una intensa collaborazione tra due spezzoni di società del Nord e del Sud, di un incontro tra uomini e donne in cui i valori e gli interessi degli uni e degli altri coincidano, nel tentativo di realizzare un cammino e una crescita comuni - a livelli e condizioni diversi certo - ma in un contesto di solidarietà attiva e di lunga durata, che 21 non finisce fino a che non vede i frutti. In questo senso, oltre alle organizzazioni non governative e alle altre organizzazioni sociali operanti nella cooperazione, anche nuove realtà aggreganti le varie forze sociali e produttive a livello regionale o territoriale potrebbero essere motore di sviluppo e di crescita reciproca, in questo approccio non affaristico ma solidaristico con altrettante realtà regionali o territoriali nei Pvs. Gli aiuti e la cooperazione però non possono essere considerati, da soli, uno strumento capace di risolvere i problemi del sottosviluppo, della povertà, delle gravi disuguaglianze e ingiustizie esistenti a livello mondiale. Anche lo stanziamento dello 0,7% del Pil di tutti i paesi industrializzati non sarebbe sufficiente. La cooperazione allo sviluppo ci indica però i criteri fondamentali, la via da seguire, quella di una partnership, di una collaborazione per ridurre gli squilibri e le enormi disuguaglianze, e per affrontare congiuntamente e con obiettivi convergenti, problemi che sono e saranno sempre di più comuni anche se ai più miopi possono sembrare ancora così lontani. Il nuovo «ordine mondiale», anche se difficile da realizzare, perché sempre più pieno di incognite nella così mutevole e difficile situazione mondiale, deve però considerare prioritari i problemi dei paesi più poveri, cercando di dare una risposta di solidarietà con nuovi rapporti politici ed economici impostati ad una maggiore equità ed a un piu razionale ed equilibrato utilizzo delle risorse naturali. Abbiamo di fronte infatti una situazione esplosiva che non potrà continuare assopita ancora per tanto. Il mondo industrializzato non è riuscito a costruire proposte alternative a quelle dolorose e al tempo stesso fallimentari al Fondo monetario e della Banca mondiale che vanno proprio in senso opposto. Eppure occorre cambiare, accompagnando la cooperazione con eque politiche commerciali, finanziarie, di allocazione degli investimenti, ecc.; inserendola cioè nel contesto di una politica economica più complessiva. Il rischio, altrimenti è che rimanga una buona intenzione di fronte al paradosso odierno per cui grazie al servizio del debito estero e al calo dei prezzi delle materie prime, sono i paesi poveri a finanziare i paesi ricchi.
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