Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 38 - marzo 1993

Dl.LBIANCO QiZ. ILROSSO iiiiiiliii Cooperazione: il marcio nonnascondailbenereale di Nino Sergi a cooperazione con i Paesi in via di sviluppo è L da qualche tempo oggetto di particolare interesse dei mezzi di informazione. Purtroppo vengono evidenziate - e raramente in modo esatto - solo le deformazioni e le storture che anni di cattiva gestione della cosa pubblica hanno prodotto, anche qui, non meno che negli altri settori dell'Amministrazione. Se da un lato è inaccettabile e ripugnante che si sia potuto fare affari o potenziare interessi di parte sulle risorse destinate a creare sviluppo nelle zone più povere del mondo, nelle zone della fame e delle spaventose disparità sociali, dal1a' ltro è parimente inaccettabile che si faccia di ogni erba un fascio, nella presunzione (che con un po' troppa insistenza si cerca di fare passare) che tutto sia stato così. Vengono ignorate le migliaia di persone oneste, generose, che hanno creduto fino in fondo nella necessità di un diverso rapporto tra paesi e tra popoli e hanno agito conseguentemente: pensiamo ai volontari impegnati nei progetti di sviluppo e ai non pochi esperti, funzionari e diplomatici dello stesso Ministero degli Esteri. Si ignora tutto un passato di denuncie e di proposte provenienti dalla società civile, dal sindacato, dai missionari, che sono ancora in attesa di una migliore attenzione anche da parte del mondo politico. Non viene mai evidenziato - forse perché non fa notizia - che esiste chi ha utilizzato i fondi pubblici per la cooperazione in modo egregio: le organizzazioni non governative, talvolta con progetti difficili e in situazioni disagiate. Ci si dimentica infine del grande coinvolgimento dei cittadini italiani intorno a progetti di sviluppo, convinti della necessità di un'azione solidale con il Sud del mondo (l'esempio dei la19 voratori del Veneto che da cinque anni si tassano mensilmente per sostenere progetti in Africa e in America latina, è uno tra i tanti del genere). È importante ricordare questi aspetti positivi perché essi devono continuare e devono essere rafforzati. È indubbio che nella cooperazione pubblica allo sviluppo ci sia stato del marcio. Ai giudici e ai politici compete di giudicare le azioni e le responsabilità. Gli errori non devono però diventare l'alibi per fermare tutto. C'è chi lo vorrebbe, specie coloro che non sono più interessati ai poveri del mondo perché non più occasione di facili profitti o di spregiudicato interesse. Il rischio oggi è grande. Il taglio della spesa pubblica poi ha dato, per il 1993, il colpo di grazia alla parte più solidaristica e più qualificante della cooperazione, quella del dono, cioè proprio quella volta ai paesi piu poveri. È necessario riprendere alcune tra le indicazioni che sono state più volte suggerite in questi ultimi anni per fare uscire la cooperazione pubblica dallo stagno in cui si trova. A) Una scrupolosa fedeltà alle finalità e agli obiettivi della cooperazione allo sviluppo - che sarebbe forse meglio definire in modo più chiaro e inequivocabile «aiuto allo sviluppo» - uscendo dal!' ambiguità di questi anni in cui vi è stata una grande confusione tra politica estera, del commercio con l'estero e della cooperazione. Una conseguente riprecisazione delle priorità geografiche, limitando i paesi di intervento e possibilmente facendo scelte coordinate a livello internazionale. Un'attenzione scrupolosa ai bisogni reali dei Pvs e ai più idonei programmi per farvi fronte. Il coordinamento degli interventi intaliani (i famosi, e mai realizzati, programmipaese) e di questi con quelli degli altri donatori,

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