ISS 1120-7930- SPED.ABB.POST.- GR. IIInO% ~!LBIANCO l.XILROSSO MENSILEDI DIBATTITOPOLITICO Lapoliticacambiasolo secambianole Istituzioni T di Pierre Carniti angentopoli non è solo una storia «di ladri comuni». È anche la prova della bancarotta del!'attuale sistema politico. La «questione morale» non può perciò essere relegata solo nelle aule dei tribunali. Va da sé che, nel più rigoroso rispetto della legalità, il lavoro dei giudici deve proseguire, ma la questione morale potrà essere affrontata davvero soltanto quando si deciderà di cambiare le istituzioni che hanno consentito e prodotto la corruzione. Si deve dire subito che, purtroppo, i partiti (a parte il limitato rinnovamento dei loro gruppi dirigenti imposto per via giudiziaria) non han38 ANNOIV0 • MARZO1993• L.3.500
IN QUESTO NUMERO EDITORIALE Piene Carniti La politica cambia solo se cambiano le Istituzioni pag. 1 ATTUALITÀ Valdo Spini Le vie del risanamento: a cominciare dal Psi pag. 4 Gian Primo Cella Psi: quale futuro, se ce n'è ancora uno? pag. 7 Tiziano Treu Milano e Italia: due crisi. La ripresa è appena iniziata pag. 9 Luisa Morgantini Iugoslavia: segni di orrore segni di speranza pag. 15 NinoSergi Cooperazione: il marcio non nasconda il bene reale pag. 19 Paolo Giammarroni Giornalisti: oltre i diritti è l'ora di ribadire i doveri pag. 22 DOCUMENTAZIONE Miche! Rocard «Sciogliersi per risorgere» pag. 25 DOSSIER Stato sociale e società del benessere Emidio Pichelan Evoluzione e mutamento del Welfare State pag. 32 Salvatore Veca Definire i «minima moralia» della cittadinanza nuova pag. 35 Ugo Ascoli Welfare State, Welfare Society, Welfare Community pag. 37 Bruno Chiarini Stato, economia, sviluppo: oltre l'inefficienza pag. 39 Franco Passuello Verso il duemila: meno Stato, più società pag. 41 Pierpaolo Donati Il terzo sistema e la riorganizzazione sociale pag. 43 Pippo Morelli Stato sociale, tra crisi e riorganizzazione pag. 46 Mario Colombo La nuova priorità è l'occupazione pag. 48 Renata Livraghi Strutture sociali e reddito disponibile pag. 50 Carlo Borzaga Il diritto e il reddito di cittadinanza reale pag. 51 Giuliano Cazzola Sanità: la prima «picconata» allo spreco e all'inefficienza pag. 54 MarioBertin Riforma delle pensioni: tramonta il Welfare State pag. 56 Emanuele Ranci Ortigosa Servizi sociali: contro le tendenze regressive pag. 58 Antonio Samà Dalla burocratizzazione alla disumanizzazione pag. 60 Franco Chittolina Europa Sociale: uno spazio da riempiere pag. 62 L'EUROPA E IL MONDO LuigiFrey Il lavoro in Europa: un mondo in travaglio pag. 65 Alberto Cuevas America Latina: i rischi della democrazia e della solidarietà pag. 70 BrunoAmoroso Mediter~aneo: i dati nuovi e le opportunità per l'Europa pag. 73 SCAFFALE Maurizio di Giacomo Igino Giordani e la Pace (1949-1953) pag. 76 Illustrazioni tratte da «Icontadini e il Vescovo»: Il mondo alla rovescia
D .!J.. BIANCO ~ILROSSO 18111 Cfnff+ 1l8 no, finora, saputo o potuto riformare sé stessi, lo Stato ed il sistema politico. Sperare in una riforma dei partiti che porti alla riforma delle istituzioni non sembra assolutamente realistico. Nessuno dubita della sincerità dei vari tentativi di «rinnovamento», ma non si può non constatare che simili ripetuti buoni propositi sono stati regolarmente frustrati. Nei partiti le vecchie cattive abitudini si sono sempre dimostrate più forti delle nuove lodevoli intenzioni. È ormai evidente che solo una riforma delle istituzioni che sia in grado di riaffermare, contro la «partitocrazia», l'autorità dello Stato, può costringere i partiti a riformarsi a loro volta. Questo non sarà però possibile, e le tendenze conservatrici dei vari Palazzi della politica non saranno superate, fino a quando non sarà riconosciuto ai cittadini un diritto di proposta e di scelta definitiva (anche attraverso un referendum propositivo) sui cambiamenti istituzionali indispensabili per assicurare, al tempo I ' r :I, ;I' I . I 3 stesso, maggiore efficacia ed una più alta moralità alla vita politica. In ciò consiste, del resto, il bisogno di una «risposta politica» ai problemi sollevati da Tangentopoli. Se è ovvio, che da un lato, la risposta politica non può portare ad inammissibili colpi di spugna, dall'altro è altrettanto evidente che non può nemmeno limitarsi alla riforma dei partiti, od a quella elettorale; oltretlutto indispensabili, ma anche difficilmente realizzabili nel quadro delle attuali istituzioni politiche. Essa deve perciò fondarsi, in primo luogo, sulla realizzazione di un sistema politico-istituzionale che non consenta per il futuro le degenerazioni che si sono verificale per il passato. Allo staio delle cose non si vede francamente come un simile approdo possa essere guadagnato senza un coinvolgimento diretto dei cittadini, che in una democrazia restano i titolari, oltre che della sovranità nazionale, anche della legittimità delle istituzioni politiche dalle quali sono governati. -. : .. \, 1.~li\-~ ~;'~- h ~ -. I)- a. - f I ' . \
~!I-~ Bli\NCO '-XILROSSO ATTUALITA Leviedelrisanamento: acominciardealPsi di Valdo Spini tiamo vivendo delle giornate drammatiche. I S resoconti quotidiani degli sviluppi dell'inchiesta «mani pulite» appaiono ormai come dei veri e propri bollettini di guerra. La lista dei «caduti» sul fronte Tangentopoli si estende a macchia d'olio, con il coinvolgimento di autorevoli esponenti politici dei vari partiti - compresi quelli «degli onesti» - e del mondo imprenditoriale. C'è chi parla di una Rivoluzione italiana in corso, chi di un golpe contro la democrazia, chi della fine del vecchio regime partitocratico. Di certo in Italia si sta chiudendo un'era. Alla preoccupazione ed al timore, propri dei grandi momenti di rottura con il passato, si accompagna però la speranza e l'impegno per la transizione ad un nuovo sistema in cui non si affermi che la politica è una cosa sporca, ma che vi è un modo pulito di far politica. É questo l'atteggiamento che si riscontra nella stessa società civile, nella gente comune. Il disgusto per la politica, il disprezzo nei confronti dei partiti, la fuga nel privato è solo una faccia della medaglia. Al tempo stesso vi è infatti da parte dei cittadini l'esigenza di partecipare al cambiamento in atto. Il successo che hanno riscontrato le campagne referendarie, a partire da quella per la preferenza unica nel '91, come il fermento per liste e partiti nuovi lo stanno a di4 mostrare. Vi è cioè l'esigenza di riappropriarsi di un diritto fondamentale per le democrazie: quello alla partecipazione. É vero: i partiti sono lo specchio della società italiana, una parte della quale cerca scorciatoie piuttosto che seguire le regole, chiede privilegi contro i soprusi dell'inefficienza dei pubblici poteri, ricercando troppo spesso soluzioni individuali piuttosto che tendere a conseguire l'efficienza del sistema. L'idea di un mondo politico totalmente corrotto ed immorale di contro ad una società civile onesta ed irreprensibile è una pura illusione. Il sistema che oggi sta crollando sotto l'azione dei giudici si è retto per anni grazie ad un complesso equilibrio basato sulla connivenza tra potere politico,imprenditoriale e burocratico avallato in parte dalla stessa base sociale del Paese. Al tempo stesso è vero però che non tutto è marcio. Ed il fatto che questo perverso equilibrio si sia oggi spezzato ne è dimostrazione. Il Paese regge, nonostante tutto, proprio perchè gran parte della società italiana s'impegna e lavora onestamente. Anche questa parte della società è e deve essere rappresentata dalla classe politica. Questo è il punto: creare le condizioni perchè l'Italia degli onesti possa pesare e avere voce, recidendo l'intreccio tra la parte malata del Paese e i partiti.
0!.LBIANCO ~ILROSSO iiikiii•P La classe politica ha quindi una grande responsabilità. Man mano che emerge in tutti i suoi contorni l'iceberg del finanziamento occulto dei partiti, si incrina sempre più il rapporto di fiducia tra i cittadini, le forze politiche e le istituzioni. La fine dei partiti fortemente ideologizzati ha spezzato il rapporto dialettico con la «base», con la società reale di cui dovevano essere espressione. La ricerca del consenso si è così tradotta nella corsa sfrenata all'occupazione delle istituzioni, dei posti di potere e di controllo. All'etica della responsabilità pubblica si è sostituito il «rampantismo» degli anni ottanta. Occorre una netta rottura di continuità. Affrontare con determinazione la questione morale è oggi la premessa essenziale per ridare credibilità alle istituzioni, ravvivare l'associazionismo politico e tentare di risolvere i problemi che affliggono il Paese, da quelli economici a quelli sociali. La questione morale è quindi strettamente legata a quella politica. Non è compito della Magistratura creare norme e leggi che permettano un corretto funzionamento delle istituzioni. Ai giudici spetta il compito di far rispettare tali leggi. É quello che stanno facendo nell'inchiesta «Mani pulite». Nessun complotto è in atto. Nessun golpe. Da anni era intuibile ciò che oggi è palese, e cioè che il sistema dei partiti viveva al di sopra delle sue possibilità e che di conseguenza regnava un regime di illegalità diffusa. Le forze politiche dovevano intervenire in tempo sul fronte del finanziamento dei partiti. Non solo ciò non è avvenuto, ma chi in passato ha sollevato il problema e ha tentato di porvi rimedio è stato isolato e additato con disprezzo come «moralista», quasi fosse quello il vero reato. In questi anni il mondo politico è stato sordo al problema della legalità della politica stessa preferendo, come spesso accade in italia, una battaglia della parola piuttosto che un confronto sulle leggi e sui comportamenti concreti. Certo, si è creato un clima da «caccia alle streghe». Si è passati cioè da una totale indifferenza nei confronti dell'aspetto «etico» della politica ad una situazione in cui un avviso di garanzia significa già di per sé una condanna definitiva. Sotto questo profilo i mass media fanno la loro parte. Occorre una soluzione politica alla questione morale, come ormai si va ripetendo da più parti. 5 La Magistratura deve andare avanti nelle indagini, riscontrando le illegalità e punendo i colpevoli. Ma il potere politico deve a sua volta e al più presto definire nuove regole prima che lo svolgersi dell'inchiesta rischi di travolgere l'intero sistema democratico. In tal senso è necessario arrivare ad un ricambio della classe politica ed alla ridefinizione dei partiti e del loro ruolo, nell'ottica della trasparenza e del controllo. Occorre dare un forte segnale di rinnovamento alla pubblica opinione. Chi ha rubato e si è macchiato dei reati di corruzione, concussione o estorsione deve essere perseguito penalmente, senza alcun colpo di spugna. «Via i corrotti!» ha esclamato giustamente il Capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfare. Per quanto riguarda i reati di violazione della legge sul finanziamento pubblico dei partiti, è essenziale che il maltolto venga restituito e che chi ha commesso irregolarità venga estromesso per il futuro da cariche pubbliche. I partiti dovranno essere leggeri, con una più diretta responsabilizzazione degli eletti, favorendo una rete di presenze e di momenti associa - tivi con i quali i partiti ed i singoli dovranno interagire. É necessaria una completa trasparenza nella vita economica e finanziaria che deve fare dei partiti e dei gruppi politici delle «case di vetro», senza più la presunzione di poter sottrarre i politici alle regole che sono proprie di tutti i normali cittadini. Se avessimo avuto in Italia una disciplina delle campagne elettorali dei candidati analoga a quella che vige negli Stati Uniti, probabilmente un episodio quale quello che ha coinvolto il segretario del Pri La Malfa non sarebbe accaduto. In genere infatti negli Usa ogni candidato ha un responsabile amministrativo della sua campagna elettorale cui compete dare conto di spese sostenute e contributi ricevuti. Occorre separare nettamente l'attività politica dalla gestione dei rapporti patrimoniali. In tal senso, acquista rilievo l'idea di costituire delle fondazioni a latere dei partiti, alle quali questi ultimi dovranno conferire tutti i cespiti patrimoniali e le attività economiche. É incoraggiante che questo concetto - presente nella proposta di legge di riforma del finanziamento dei partiti da me presentata nell'84 - cominci a farsi largo ed è auspicabile che i partiti comincino da subi-
.!)!L BIANCO W,,JLROSSO iil•Miliii to, in attesa che la norma completi il suo iter parlamentare, ad attrezzarsi per poterlo realizzare. I socialisti devono impegnarsi molto e bene, sul fronte della questione morale. Senza più titubanze, distinguo di varia sorta, grida al complotto. É una partitia che va giocata senza bluff, a viso aperto e con le carte scoperte. Solo così riusciremo a risollevare un partito sull'orlo del precipizio. Affrontare con coraggio, tempestività, chiarezza e decisione la questione morale spetta ai socialisti più che ad altri. Per due motivi. Da una parte perché il dramma di Tangentopoli ha colpito l'immagine del Psi più di quanto sia avvenuto per gli altri partiti, a causa del ritardo, dell'arroganza e in alcuni casi della sfacciataggine con cui parte dei dirigenti del Partito si sono posti di fronte al problema. Dall'altra perché il socialismo - come diceva Carlo Rosselli - è innanzitutto un valore morale che deve incarnarsi in programmi concreti e quindi restituire alla politica la sua istanza etica fa parte della tradizione storica del Psi. Una tradizione alla quale ci sentiamo tuttora legati. ·:.COSI VA·-ILMOND-0 , I , , J. • • ·•, i, , --~--- ( ~~~-· ' ~~ ~\JJ ' ,Nùt,1/i i,,,,J!<t, , Pt.R, sOM.A,R.0';;;. 6
{)!,L BIANCO ~ILROSSO iiiiiil•P Psi:qualefuturo, secen'èancorauno? di Gian Primo Cella a domanda se la stanno ponendo in molti, do- L po le vicende dei crolli elettorali e della questione devastante della corruzione politica, dopo il tentativo di svolta o comunque di chiusura di una fase realizzatosi all'ultima assemblea nazionale del partito: c'è un futuro per il Psi nella società e nel sistema politico italiano? Azzardare una risposta è impegnativo, meglio perciò limitarsi al campo del possibile, non del probabile. A tal fine gli elementi di interpretazione della realtà e delle dinamiche politiche sono numerosi, meglio perciò esplicitare subito una tesi e cercare di argomentarla. È quello che qui cercherò di fare. Il futuro politico presenterà spazi per il socialismo democratico all'interno di una più generale sinistra democratica (e su questo mi sono già soffermato sul n. 34 di questa rivista), ma non necessariamente per il Psi, o per una qualche formazione che da esso derivi direttamente. La seconda parte della tesi, ne modera la categoricità, e può così articolarsi: a meno che il Psi compia un radicale e generalizzato ricambio della sua élite dirigente e soprattutto un cambiamento del suo radicamento nella società, e sappia ritrovare delle modalità di presenza come forza politica nazionale. Vedrò di chiarire la seconda parte della tesi. Sul ricambio della élite dirigente c'è poco da aggiungere. È l'unica cosa che si può auspicare da un partito che esce da sconfitte elettorali e da una situazione di clamorosa commistione fra politica e affari (più o meno privati) dopo un periodo di quasi un quindicennio di unanimismo interno. In circostanze come questa forse non sarebbe stato sufficiente per garantire il ricambio neanche il ribaltamento delle posizioni fra la maggioranza ed una minoranza, invero di costi7 tuzione piuttosto recente ed eterogenea. Non è stato sufficiente certo il ricambio alla segreteria nelle modalità con cui è avvenuto. Su questo tema solo il prossimo Congresso del partito potrà avere ormai una qualche chance in più nel favorire il ricambio. Ma non ci si faccia illusioni. I congressi dei partiti italiani hanno più facilmente il compito di legittimare un cambiamento già avvenuto, che di provocarlo. Sul cambiamento del radicamento nella società tocchiamo un aspetto fondativo del Psi, ben noto a tutti coloro che l'hanno analizzato in profondità. Il radicamento sociale più forte·del partito, e del suo quadro attivista-militante è andato a collocarsi nella piccola borghesia. Entro questo radicamento, nelle «favorevoli» condizioni del consociativismo e del potere di coalizione, ha potuto potenziarsi e farsi strada una presenza di affaristi della politica, che hanno ritenuto possibile utilizzare i canali del sistema politico-amministrativo per realizzare processi individuali di mobilità sociale. Di qua alla corruzione politica i passaggi sono stati spesso molto rapidi. Cosa significa un nuovo radicamento? Significa cambiare i meccanismi di adesione e la rete di rapporti fra partito e società. Significa ridurre i ruoli (ed i costi) della intermediazione politica attribuiti agli apparati di partito o ai politici di professione. Ma un partito socialista democratico, se questa connotazione evoca ancora qualcosa, deve possedere un radicamento che non può essere esclusivamente di tipo individualista. Di qua la ricerca di una radicamento di tipo collettivo, nei sindacati e nelle associazioni professionali, nelle autonomie locali, nelle associazioni del volontariato. Con l'obiettivo di realizzare un partito come luogo di sintesi più che come struttura di intermediazione.
{)!LBIANCO ~ILROSSO iiikiil•ii Senza la ricerca di un tale radicamento si perpetuerà per il Psi una sorta di maledizione storica: quella di non riuscire a trarre i frutti delle scelte politiche storicamente efficaci e corrispondenti alle necessità dei tempi, effettuate nel corso della sua vicenda ormai centenaria. Di scelte come il riformismo partecipativo-collaborativo nell'età giolittiana, del centro-sinistra, negli anni sessanta, dell'autonomismo competitivo nel corso del primo periodo della leadership di Craxi. Scelte pregiudicate non tanto dagli avversari esterni, quanto da inarrestabili e imprevedibili dinamiche interne. Rappresentate man mano dagli intellettuali massimalisti piccoloborghesi, dalle scissioni estremiste, dalla subalternità (o soggezione) verso il Pci, dalla ascesa degli «affaristi»favoriti dal regime consociativo. Senza questo nuovo radicamento si potrà ripresentare in futuro il pericolo della trasformazione in potere personale verticalizzato di quelle leadership forti e autorevoli di cui tutti i partiti socialisti hanno, comunque sia, bisogno. Oltre al ricambio delle élites e alla ricerca di un nuovo radicamento sociale, il futuro di un partito socialista dovrà riscoprire delle modalità di presenza come formazione politica nazionale in rinnovato contesto elettorale-istituzionale. Ed un partito socialista, pur animato da una logica federativa di gruppi e associazioni, non può che essere un partito nazionale. E questo perché le linee di frattura, o di divisione, sulle quali richiede consenso, e sulle quali crea competizione elettorale, sono ben altre da quelle di carattere etnico-territoriale. Da questo punto di vista, in un nuovo contesto elettorale maggioritario, l'attuale Psi è probabilmente già un partito finito. Un nuovo radicamento, maggiormente fondato su rapporti di tipo associativo - collettivo - 8 federativo, rappresenterebbe già una modalità di presenza che potrebbe avere chances di affermazione nel nuovo contesto. Ad esso andrebbero tuttavia affiancati processi di unificazione (o federazione) con quelle componenti della tradizione politica italiana che hanno come destino storico quello di contribuire esplicitamente alle sorti del socialismo democratico. Mi riferisco in primo luogo alle componenti cosiddette «miglioriste» dell'ex-Pci, d'ora in avanti liberate dai doveri della tradizione di osservanza verso la casa madre. Un effetto non perverso della caduta del socialismo reale. E la fine di una tradizione che aveva permesso ad un leader d'eccezione come Giorgio Amendola di praticare tratti (spesso inascoltati) di socialismo liberale insieme con rudi richiami alla fedeltà filo-sovietica. Si chiede troppo per il futuro possibile del Psi? Forse, ma è ciò che appare necessario per contrastare il flusso degli eventi che, così com'è e senza correttivi, sembra portare verso un tramonto senza rinascita. D'altra parte queste trasformazioni sembrano anche necessarie per garantire una presenza politica senza la quale sarà difficile prevedere per la sinistra italiana chances concrete di successo dopo la probabile sconfitta iniziale nel nuovo contesto elettorale. Una sinistra che, come in ogni altro importante caso europeo, non potrà essere interpretata solo dalle componenti, ormai numerose, di tipo radical-democratico, fra queste la variante radicale di massa rappresentata dal!' attuale maggioranza del Pds. Che cosa ostacolerà il Psi su questo camino di trasformazione? Certo la disaffezione crescente verso di esso, ma forse ancor di più i contorsionismi, già in atto, del vecchio gruppo dirigente.
{).!J, BIANCO a.L, ILROSSO iiikii•ili Milanoe Italia:duecrisi. Laripresa èappenainiziata di TizianoTreu A d un anno da Tangentopoli si è visto quanto lo scandalo vada oltre i confini di Milano e abbia inquinato in profondità, oltre le peggiori supposizioni, le istituzioni della Repubblica. Che cosa si è fatto durante quest'anno per reagire alla gravità della situazione? Mi riferisco a Milano, che vedo più da vicino; ma Milano riflette enfatizzati problemi nazionali. Molti di noi hanno sottolineato in questi mesi l'urgenza di fronteggiare la crisi, anzi in un certo senso di utilizzarla, per impegnare un fronte ampio di forze riformiste su due obiettivi di fondo: uno istituzionale/amministrativo, ed uno più squisitamente politico. Il primo è di riprendere un'azione di buon governo, che eviti la paralisi della vita pubblica ed economica. L'altro è di riaggrega~e questa coalizione di forze riformiste non solo in vista dell'emergenza di Tangentopoli e della conseguente crisi economico sociale, ma per preparare una fase costituente politico-istituzionale di portata più ampia. Il primo obiettivo è stato perseguito con tenacia della Giunta Borghini a Milano e, con le evidenti differenze, dal Governo Amato, in sede nazionale. 2. I risultati sono stati non irrilevanti, ma insufficienti. In sede nazionale il governo è riuscito ad acquisire alcuni risultati eccezionali, se confrontati con le prassi del nostro passato recente, ed infatti necessari da decenni: la riforma del pubblico impiego, e delle pensioni, una prima manovra di riaggiustamento economico, l'impostazione della riforma della finanza locale e del sistema sanitario, la abolizione della scala mobile con un accordo triangolare che ha dato un for9 te viatico sindacale alla navigazione politica di Amato. Eppure tutti avvertono che il più resta ancora da fare: alcuni provvedimenti sono appena impostati, ed in modo a dir poco incerto, come le cosiddette privatizzazioni; altri si giocheranno in fase di gestione, come la riforma del pubblico impiego e la stessa riforma pensionistica, che peraltro va rivista e completata con le regole sulle pensioni integrative, la finanza locale richiede ben altri rafforzamenti, in un quadro di revisione profonda dei poteri regionali; la manovra economica è da riprendere ex novo, con la necessità di sacrifici più gravi e meglio distribuiti; una razionalizzazione del sistema delle relazioni industriali (struttura della contrattazione collettiva), regole sulle Rappresentanze Sindacali Aziendali, partecipazione dei lavoratori anche alla economia delle imprese, con l'azionariato) è urgente se non si vuole che l'accordo del 31 luglio 1992 diventi sempre più insostenibile da un sindacato già sull'orlo del collasso. Il problema occupazionale sovrasta ogni altro, non solo in Italia, e richiede misure ulteriori agli aggiustamenti normativi dei decreti già approvati: misure di sostegno allo sviluppo economico, una strategia di politica industriale, una destrutturazione drastica del Ministero del Lavoro e la regionalizzazione delle istituzioni di governo del mercato del lavoro. L'attivismo della Giunta Borghini di Milano non è stato meno eccezionale (relativamente al passato); Borghini ha avviato processi bloccati da anni in materia urbanistica (la Fiera, il progetto del Portello, il nuovo depuratore, i piani di recupero abitativo, il piano di riutilizzo delle aree dismesse, la cui approvazione finale è stata interrotta dalla crisi di Giunta), in materia di va-
{'!LBIANCO ~ILROSSO iii•iil•ii lorizzazione delle aziende comunali, approntando i piani di trasformazione dettagliati di quattro aziende (Aem, Centrale del Latte, Farmacie, Sea) in materia di attuazione del nuovo Statuto o di revisione dei rapporti fra Comune e cittadini, approvando una serie di regolamenti senza precedenti in Italia, come quelli del diritto dei cittadini di avere accesso agli atti della pubblica amministrazione, che apre alla conoscenza dell'amministrazione, i regolamenti sulla nuova procedura delle nomine dei rappresentanti comunali, degli enti controllati (oltre 150 posti vacanti), sul difensore civico, sul referendum, sulle istituzioni (organismi per gestire in modo autonomo alcuni grandi servizi sociali del Comune), sul funzionamento - ora farraginosissimo - degli organi comunali (Consiglio, Commissioni Consigliari, Ufficio di Presidenza), sulla trasparenza nei contratti di appalti. La Giunta ha dato contributi anche in materie dove il Comune non ha poteri diretti, come il lavoro, utilizzando la propria autorità sul territorio per rilanciare l'industrializzazione delle aree occupate da aziende in crisi (Maserati, Ivi-Ppg, Oer likon, ecc.). Eppure queste iniziative sono insufficienti arilanciare Milano; molte dipendono da decisioni nazionali, che sono a loro volta bloccate. Altre sono state bloccate dalla litigiosità del Consiglio ed in parte da quella interna alla stessa maggioranza, e da ultimo dalla crisi di Giunta di febbraio. Sul tutto ha pesato l'estendersi progressivo delle incriminazioni per Tangentopoli che ha colpito sempre più diffusamente politici ed imprenditori anche milanesi. Cosicché Milano si ritrova oggi in una crisi di governabilità più grave che mai. Questi eventi confermano, se ce ne fosse bisogno, che la crisi politico istituzionale di una grande città come Milano riflette con gravità accentuata quelle nazionali. Più in generale le insufficienze del governo, sia nazionale sia milanese, riflettono in maniera diretta, la crisi politica, senza che le istituzioni per la loro debolezza possano arginarla. 3. L'aver perseguito con tenacia il primo obiettivo, quello del «buon governo», non è stato sufficiente, perché il secondo obiettivo, quello di riaggregazione politica e di riforma delle regole istituzionali, non è stato perseguito con la stessa determinazione. Anzi mentre sul primo versante risultati, sia pure parzialmente, sono stati ottenuti, sia a Roma sia a Milano, sul secondo il bilancio è largamente negativo. Un primo dato in sé grave, è che i partiti politici investiti non solo dalla crisi politica, ma da accuse di criminalità istituzionale, di gravità e progressione sempre più stupefacenti (almeno per me), hanno reagito poco o niente. Le iniziative di autoriforma dei maggiori partiti sono parziali, come quelli del Pds e della Dc; o pressoché nulle, come nel caso del Psi. Le proposte di riforma istituzionale del sistema dei partiti, e del loro finanziamento, se potevano forse ~ "-".; ·1~ ' ,( 9' -\~: .~;·:··, ·1i -J, '~
{)!LBIANCO ~ILROSSO iii•iiliii essere significative in tempi normali, non sono neppure lontanamente all'altezza della crisi. L'incapacità di autoriforma interna dei partiti non è casuale. In certi casi riflette un pervicace attaccamento al passato, come se ancora bastasse aspettare che passi la burrasca «di una nottata». In altri casi, parlo soprattutto delle parti migliori dello schieramento riformista e di larghi settori del mondo cattolico, riflette una persistente incertezza strategica, sulle prospettive di riaggregazione di questo schieramento. Il sindacato è investito meno generalmente dalle incriminazioni giudiziarie; ma si è visto che non ne è esente neppure esso. In ogni caso sta sperimentando gli effetti negativi di una occupazione delle istituzioni, che non è meno diffusa di quella dei partiti, ma che è spesso subalterna ed opportunista. Tutto ciò aggrava la sua già pesante crisi di rappresentatività dovuta a motivi propri della dinamica sindacale non solo in Italia. E rende più difficile utilizzare quello che una volta era un forte potenziale politico del movimento: non necessariamente partitico, ma politico, nel senso di spendibile per favorire convergenze fra le forze riformiste su obiettivi di progresso economico sociale. 4. Un anno fa si discuteva a Milano più che a Roma sulla gravità della crisi politico istituzionale, e quindi sui tempi necessari per una transizione a nuove regole ed a nuovi assetti politico istituzionali. A Milano la Giunta di responsabili11 tà civica è servita a mantenere una normalità amministrativa, evitando la paralisi gestionale della città. Ma ora i tempi sono quasi esauriti, del resto secondo le previsioni dello stesso Borghini, che si era volutamente proposto un termine definito di attività. La debolezza dei risultati ottenuti in questi mesi ed ancora più la inadeguatezza delle reazioni partitiche agli sconvolgimenti morali ed economici registrati nell'anno passato impongono, ed in parte prefigurano, un cambiamento di sistema. Nuove elezioni sono diventate non solo inevitabili, ma più vicine. Ciò è ovvio, ma le elezioni non sono mai di per sé un toccasana; tanto meno oggi, con la frantumazione politica in atto e con regole istituzionali così inadeguate. Più che mai sono essenziali le condizioni con cui si arriverà alla prova elettorale. Una prima condizione è ancora il funzionamento delle istituzioni. La delegittimazione delle assemblee elettive, nazionali e locali, è arrivata ad un punto di non ritorno. Per questo è più che mai paradossale verificare la persistenza di continui tentativi di condizionare le politiche e le formazioni di governo alle consuete alchimie dei gruppi politici. Ciò vale per il governo di Milano, come per quello di Roma; ed infatti la sopravvivenza di quest'ultimo, a differenza del primo, è più dovuto all'autorevolezza della Presidenza della Repubblica che alla maggiore responsabilità del
DlLBIANCO ~ILROSSO ii liii liii Parlamento nazionale, rispetto ai corrispondenti gruppi consigliari milanesi. Proprio perché le elezioni sono ormai imminenti, e la crisi dei partiti è tuttora profonda, il funzionamento delle istituzioni diventa un punto più che mai essenziale. Lo è per garantire la normalità istituzionale (che non è per niente irrilevante né scontata in un periodo come questo); ma è essenziale anche per evitare ulteriori peggioramenti delle condizioni economico sociali dell'Italia, che colpiscono soprattutto gli strati deboli della popolazione. Per questo la crisi provocata a Milano, senza alternative, è poco responsabile, soprattutto da parte delle forze di sinistra. Essa appare dettata più da calcoli (o illusioni) elettorali, o peggio dal timore di un rafforzamento personale di Borghini che da atteggiamenti utili alla città. Portare a termine alcuni essenziali provvedimenti impostati in questi mesi, spesso con convergenze politiche più ampie di quelle rappresentate nella Giunta è ancora importante per evitare un ulteriore deterioramento della situazione economico sociale. Chiunque voglia evitare tale deterioramento deve assumersi il compito di governare (ma sul serio) per i 4-5 mesi che ci separano dalle elezioni: a livello locale le elezioni a breve sono più che mai sicure. 5. Le altre due condizioni essenziali perché l'appuntamento elettorale sia significativo, riguardano il cambiamento delle regole elettorali e degli schieramenti politici. 12 La riduzione dei tempi disponibili - ed il cattivo utilizzo dei mesi trascorsi - impongono ai riformisti un salto di impegno. Un anno fa molti di noi auspicavano che tutte le energie positive di elaborazioni progettuali e di aggregazione delle posizioni riformiste venissero mobilitate per costruire una strategia comune, almeno su pochi punti essenziali. In questi mesi le distanze fra tali forze non sono diminuite, anche se per alcune di esse, come il Psi, è in gioco la stessa sopravvivenza; ma gli altri partiti stanno poco meglio. Le prospettive di nuove riaggregazioni nella sinistra devono essere costruite in tempi rapidissimi ed abbandonando le logiche di «fazione» tuttora prevalenti. Altrimenti più che la unità della sinistra o l'alternativa, sarà all'ordine del giorno la sconfitta complessiva di tutti questi schieramenti; e per le «correnti» sopravvisute la stessa «spartizione» dei posti, cui si aggrappano ancora, per abitudine, sarà nullificata. Milano, ancora una volta, può essere un terreno fecondo per questa operazione perché qui più che altrove ha colpito la crisi morale e quella politica, falcidiando interi gruppi dirigenti, specie del Psi e della Dc. Questa falcidia potrebbe favorire un profondo ricambio di uomini, di logiche e quindi di politiche. Non c'è tempo per grandi architettature strategiche, né per sofismi. È solo possibile ricercare convergenze di iniziative sulle questioni più urgenti che incombo-
{'!LBIANCO ~ILROSSO iii•iil•ii no sull'Italia, mettendone in forse lo stesso progresso economico finora raggiunto e la appartenenza all'Europa. Mi riferisco alle riforme elettorali, al risanamento dell'economia italiana ed al rilancio dello sviluppo e della occupazione. Queste sono le vere emergenze per tutti. Ma c'è modo e modo di affrontarle. 6. Più che mai l'onere della prova spetta ai riformisti. Devono mostrare che esistono modalità politiche ispirate a princìpi etici per risanare le istituzioni e l'economia che sono comuni ai riformisti e diverse da quelli proposti dalle forze conservatrici. Su questi principi di fondo credo abbia ancora senso misurare la differenza fra destra e sinistra o, se si vuole, fra conservazione e difesa dei privilegi di pochi e maggiore giustizia sociale, con più equo accesso ai benefici del progresso. Gli spartiacque possono essere anche su poche questioni: come distribuire i sacrifici, come riassestare il sistema fiscale, come modificare lo stato sociale. Su questi problemi a Milano è aperto un confronto, ancora confuso, fra forze politiche, movimenti e gruppi vari. Non è sicuro quanto possano essere utili al riguardo, e come possano interloquire i partiti tradizionali; una precondizione è che accelerino in modo visibile il processo di autoriforma finora troppo lento e che abbandonino le logiche di parte finora prevalenti. 13 In ogni caso è difficile che a Milano essi (o molti di essi) possano ripresentarsi alle prossime elezioni con propri simboli e uomini propri. Vale più che mai oggi quello che si diceva da molti gruppi, compreso ReS, l'anno scorso: che il dialogo con i partiti è necessario, ma comporta un loro «arretramento» rispetto alle istituzioni; che occorre ricercare non nuovi agglomerati partitici, ma un coordinamento fra tutte le associazioni e gruppi della società civile intenzionati a cambiare le regole e gli obiettivi del governo locale, dove tutti i progressisti possono ritrovarsi per operare in tale direzione. Tale coordinamento dovrebbe tendere alla formazione di una o più liste civiche, composte di uomini nuovi ed onesti e competenti, a seconda del grado di convergenza verificato sulle soluzioni da dare ai problemi della città. È chiaro, almeno per me, che tali liste non potranno essere liste partitiche mascherate. È anche dubbio che basti una federazione o un'allenza fra le esistenti forze politiche di sinistra, più o meno aggiustate. Mentre per le istituzioni sono convinto che occorra più che mai una difesa della loro funzionalità, fino alle nuove regole, gli schieramenti partitici invece sono in stato troppo avanzato di destrutturazione perché si possa restaurarli. Non è chiaro come, ma occorre cercare forme nuove di riaggregazione dei riformisti. Oltre a verificare la governabilità di Milano in questa fase preelettorale, un test immediato per la praticabilità di un qualche polo nuovo rifor-
{)~BIANCO ~ILROSSO iiiiiil•ii matore, sta nella riforma della legge sull'elezione dei governi locali, che è più avanzata (se non più urgente) di quella sulle elezioni nazionali. 7. Il progetto di legge nel testo approvato alla Camera è inadeguato per molti aspetti. Anzitutto nella definizione dei poteri nel governo locale. Andrebbe precisata meglio la distinzione fra funzioni del Consiglio e funzioni del Sindaco (e della sua Giunta), lasciando al primo solo funzioni di indirizzo generale e di controllo rispetto alle attività di governo. Il testo di legge non corregge a sufficienza l'attuale regolamentazione della legge 142, la quale mantiene al Consiglio poteri ampi, per certi versi ambigui (diverse lettere del n. 2, art. 32) che nella prassi raggiungono un vero potere di interdizione, e permettono pratiche di filibustering. Sul metodo elettorale il progetto unificato resta ibrido mantenendo una distinzione, in sé discutibile, fra comuni inferiori e superiori a 10.000 abitanti. I dubbi più gravi restano quelli riguardanti il nesso fra elezione del Sindaco e voto di lista. Condivido anch'io l'opinione che più si va verso il modello dualistico, con poteri distinti fra Sindaco e Consiglio, più è coerente una elezione diretta ed autonoma del Sindaco rispetto a quella dei consiglieri. Oltretutto la soluzione «presidenzialista» con elezione diretta ed autonoma del capo dei governi locali trova motivi di sostegno distinti da quelli, più controvertibili, che sono discussi per le istituzioni statali. A livello locale non c'è, come a quello centrale, il rapporto fra legislativo 14 ed esecutivo che condiziona in modo decisivo l'equilibrio dei poteri. Negli enti locali l'esigenza primaria è di garantire l'elezione di un soggetto capace di governare in proprio, riducendo il condizionamento partitico, che non a caso è stato massimo proprio a livello locale. Vanno ancora segnalate alcune carenze del testo che sono state oggetto di giudizi convergenti: in particolare il silenzio sull'area metropolitana, la cui «archiviazione» avrebbe effetti gravi sull'intero assetto del decentramento amministrativo; e la rinuncia ad operare una revisione diffusa della legge 142/1991 nei punti che già hanno dimostrato la loro inadeguatezza. Tutto lascia prevedere che il testo unificato subirà ancora pressioni in direzioni contrastanti. Le indicazioni provenienti dall'esperienza dei governi delle grandi città sono univoche nel richiedere soluzioni funzionali ad aumentare il grado di autorevolezza delle istituzioni locali, a cominciare dall'esecutivo. Questo spinge a muoversi più decisamente nella direzione di un sistema dualistico i poteri, con rafforzamento della legittimazione e quindi della elezione diretta del capo dell'esecutivo. Una sostanziale modifica del testo legislativo costituisce un (altro) banco di prova per verificare la capacità dell'attuale sistema di governare la transizione ormai inevitabile ad un sistema diverso. Altrimenti la parola sarà ai referendum: e il test elettorale potrebbe essere ancora più drastico nel rivoluzionare gli schieramenti politici tradizionali, specie nel Nord Italia.
{)!LBIANCO ~ILROSSO iiiiiil•P Iugoslavias:egnidiorrore segnidisperanza di Luisa Morgantini F a freddo a Belgrado, sedici gradi sottozero, arriviamo in piazza per manifestare con le donne che ormai da un anno rendono visibile il loro rifiuto della guerra sostando ogni mercoledì per un'ora, vestite di nero ed in silenzio. Con Time for peace, durante il capodanno, da tutta Italia siamo partiti in più di mille, spargendoci per tutta la ex-Jugoslavia, cercando di capire e conoscere, con un messaggio di non violenza e portando aiuti alle vittime di questa tragica guerra. Anche noi abbiamo portato aiuti ai rifugiati in Vojvodina. In Serbia sono più di 600.000, il 95% sono ospiti nelle case da parenti e da amici o da gente che ha aperto la propria casa per solidarietà (il rappresentante dell'Onu ci diceva però che oramai con l'embargo e la difficile situazione economica - 22.000% di inflazione - molte famiglie non possono più sostenere i rifugiati). Pochi sono quelli che stanno nei campi e quando li incontriamo ci raccontano la tragedia del dover abbandonare le loro case, di mariti, fratelli ammazzati. Rabbia, odio, disperazione, tutti dicono di volere la pace ma poi sostengono le posizioni più nazionalistiche. Come gruppo di donne volevamo rafforzare le relazioni che dall'inizio del conflitto abbiamo stabilito con serbe, croate, musulmane, jugoslave. Quando in piazza ci uniamo a loro, ci lasciamo avvincere dalle emozioni nel vedere che la forma di protesta che in Italia abbiamo fatto nostra è diventata uno dei modi di opporsi alla guerra delle donne di Belgrado. Donne in nero, noi lo abbiamo imparato dalle donne israeliane che dall'inizio dell'Intifada manifestano contro l'occupazione militare della Palestina, e siamo 15 state in piazza per la Palestina e contro la guerra del Golfo per più di un anno. Ma l'emozione più forte è per il loro coraggio e la loro solitudine, non è facile manifestare per la pace quando una comunità difende la propria identità e pensa di essere in guerra perché attaccata, l'accusa è di tradimento. Poi ci incontriamo per discutere insieme di solidarietà, di paura, di appartenenza. In molte prevale il senso di impotenza e di sconfitta, alle elezioni hanno vinto Milosevic e Sesely, rafforzando il nazionalismo. Sentono che si rafforza l'idea della grande Serbia e temono che anche il loro dissenso possa essere represso. Soffrono della mancanza di rapporti con le donne croate, slovene e bosniache, i rapporti si sono interrotti perché il conflitto etnico ha vinto, ma con altre, alle quali sono unite dalla condivisione del rifiuto della violenza non possono comunicare, perché anche il telefono tra Zagabria e Belgrado è tagliato. Ci raccontano del loro lavoro in un centro per sostenere le donne violentate dai «nemici» nella guerra ma anche quelle violentate dagli uomini della stessa etnia. Insieme discutiamo, riconoscendo le nostre disparità nella solidarietà. Discutiamo di paura, e vorrei riportare qui alcuni frammenti di loro interventi: ... «ci sono due ordini di paure: una è quella di muoversi per strada, negli ultimi tempi è scomparsa ogni forma di legalità, molti girano armati, la polizia ha perso il controllo, non interviene; l'altra è quella che viene dall'essere di origine ungherese. Ho pensato che le dodici lettere che compongono il mio cognome potranno decidere della mia vita... sento una rabbia impotente perché mi sembra di non poter fare niente per cambiare la situazione ... non avrei mai potuto immaginare l'immensità della stupidità della mia
01.LBIANCO ~ILROSSO Uiiiiliii gente ... sto cercando il modo di bloccare la mia paura nel caso i fascisti arrivino a casa mia e per trovare la forza di suicidarmi ... ». Ho parlato delle donne serbe e del loro dissenso alla politica nazionalistica di Milosevic per rompere il loro isolamento e mostrare che esiste una opposizione in Serbia che va aiutata a crescere. E gruppi di donne, non solo in Serbia ma anche in Croazia, in Slovenia e donne bosniache profughe, attivamente si oppongono al nazionalismo, all'odio e alla violenza cercando di collegarsi tra di loro per trovare percorsi di pace. Difficilissimo. A Zagabria, come a Belgrado, queste donne vengono tacciate di tradimento e molto spesso minacciate. E sono proprio loro che, mentre soccorrono le donne stuprate, chiedono di non usare lo stupro e la violenza praticate in questa guerra come un'altra arma per accendere l'odio tra le etnie. «Lo stupro» - dicono - «non è nuovo nelle guerre, il corpo delle donne è sempre stato usato per soddisfare i bisogni sessuali dei soldati e per infliggere al «nemico» l'umiliazione, questa volta è anche programmato. Ma lo stupro, sia in guerra che in tempo di pace non è mai stato visibile. Le donne hanno combattuto battaglie per renderlo tale e perché fosse riconosciuto come un crimine contro la persona. In questa guerra lo stupro è entrato nel vertice della politica internazionale, è diventato visibile e l'interesse mo- ~ f. 16 strato è sembrato più essere una strumentalizzazione per la propaganda sulla guerra e per far crescere l'odio tra le etnie, che non un interesse reale per la sofferenza delle donne». Anch'io condivido questa opinione, senza togliere nulla alla drammaticità e alla gravità del fenomeno. Le donne stuprate forse non saranno 20.000 o 30.000 ma certamente l'esistenza dei campi di detenzione per sole donne, dei bordelli, gli stupri effettuati durante la pulizia etnica nei paesi e nei villaggi e dalle testimonianze, rivelano una vasta proporzione. In verità i dati non possono essere certi, i 20 e 30 mila stupri (e la differenza tra un dato e l'altro non è irrisoria), sono stati fatti sulla base di stime e non verificati. Del resto è difficile verificare, molte sono le donne prigioniere, la guerra è ancora in corso, le donne profughe, se anche sono state violentate, non osano parlarne per timore del loro futuro e di non essere più accettate socialmente, questo in principal modo per le donne musulmane che sono quelle che maggiormente subiscono la violenza dello stupro e della guerra. Amnesty, nell'indagine svolta non dà cifre e sostiene che casi di stupro sono avvenuti da ognuna delle parti in conflitto, le forze paramilitari serbe e l'esercito serbo della Bosnia sembrano però essere i maggiori responsabili. Amnesty ha individuato varie situazioni in cui
{),lLBIANCO W.ILROSSO f+iiiiiliM si può ritenere che gli stupri, i tentativi di stupro e le violenze sessuali abbiano avuto e possano ancora avere luogo in Bosnia-Erzegovina: 1. nei luoghi in cui le forze paramilitari hanno anche transitoriamente il controllo del territorio. A volte le donne vengono rapite oppure sono costrette a subire violenza nel luogo stesso e a volte in presenza dei familiari; 2. nei luoghi in cui sono detenute delle donne, anche se non con lo specifico intento di stuprarle o violentarle; 3. nei centri dove sono detenute delle donne, strutturati appositamente ed esclusivamente per lo stupro e la violenza. Dalle testimonianze raccolte risulta che non solo le donne venivano stuprate ma alcune anche uccise. È il caso di una ragazza di 17 anni, che con una amica e la sorella, è stata portata nell'albergo di Vilina Vlas, a circa 7 Kmda Sarajevo; la ragazza è tornata a casa ed ha raccontato di essere stata stuprata da una persona che portava un· distintivo del gruppo paramilitare serbo Beli Orlovi, l'amica e la sorella le ha sentite urlare nella camera accanto e poi non le ha più viste. Sempre una ragazza musulmana di 17anni del villaggio di Kalosevici, vicino a Teslic, ha dichiarato di essere stata portata in un capannone da soldati dell'esercito yugoslavo del popolo, insieme ad altre ventiquattro donne. Lei stava in una stanza con dodici donne, molte sono stateripetutamente violentate di fronte alle altre da diversi uomini, alcune venivano legate prima di essere stuprate ed a lei uno dei violentatori disse: «avrai un figlio serbo». È stata aiutata a fuggire da un serbo. A Sarajevo vi sono state diverse denunce, le forze del governo bosniaco avrebbero catturato donne serbe, allo scopo di violentarle in vari luoghi; fra di essi viene citato un ostello studentesco «Mladen Stojanovic» nella via Radiceva ed un altro nella via Daniza Ozme e in altri quartieri. Ma anche nel conflitto precedente in Croazia, sebbene il numero delle violenze contro le donne appaia minore rispetto alla guerra in Bosnia Erzegovina, alcuni casi sono venuti alla luce di recente, si sono verificati alla fine del '91 e all'inizio del '92. Una donna croata della «Guardia Nazionale 17 Croata» venne costretta da una guardia serba ad avere rapporti sessuali orali; la guardia le disse che non voleva avere rapporti completi con una ustascia. Nel villaggio di Barak, vicino a Vukovar, una donna croata è stata violentata da paramilitari serbi, insultata, picchiata, poi scacciata da casa perché suo figlio era accusato di essere un organizzatore ustascia. Il gruppo paramilitare era sempre il Beli Orlovi (aquile bianche). Mentre tornava a Brcko una infermiera serba di 28 anni è stata sequestrata. La polizia croata fermò la corriera e sequestrò lei e altri quattro serbi. È stata portata a Slavonski Brod, nei pressi di una raffineria. È stata violentata diverse volte e in aprile, ormai incinta è stata trasferita in un altro centro detentivo in una scuola di Odzak gestita da croati e musulmani, è riuscita a scappare pagandosi la fuga. Altre donne serbe nei pressi di Novi Grad che si erano rifugiate in una casa, dopo che i loro mariti erano stati arrestati dalle forze croate, sono state trasferite in un altro edificio dove 15 uomini autodefinitisi Vatreni Kkonji (cavalli di fuoco) le aspettavano per violentarle, 7 di questi uomini sono stati riconosciuti dalle donne come loro vicini, mentre le violentavano gli uomini dicevano di farlo perché i cetnici avevano violentato donne croate. Altre sono le testimonianze raccolte, vorrei descriverne succintamente una che riguarda lo stupro fatto dai croati e serbi, insieme - in un momento di tregua - si sono regalate delle donne da violentare. Gli avvenimenti di questa guerra sono allucinanti e sembrano follia, ma sono purtroppo reali. Le notizie delle violenze sulle donne hanno suscitato orrore e molte donne singole in associazioni, in gruppi, si stanno mobilitando non solo per fermare lo stupro, ma per fermare la guerra. Varie iniziative in tutta Europa sono state intraprese per chiedere alle Nazioni Unite che lo stupro venga considerato un crimine di guerra, perché le donne rimaste incinte possano liberamente scegliere se abortire, per dare asilo e protezione alle donne vittime della violenza. Su queste basi si sono mosse anche donne dei diversi parlamenti nazionali ed europei. In Italia, in diversi luoghi, si stanno costituendo gruppi di coordinamento con l'intento non so-
D.!J. BIANCO ~IL ROSSO kiikiilit+i lo di far riconoscere lo stupro come crimine, ma anche per aiutare concretamente le donne vittime della violenza e della guerra. In modo particolare le donne dell'Associazione per la Pace, che insieme ad altri gruppi di donne stanno conducendo una campagna per il sostegno a progetti di donne delle diverse etnie per la formazione di centri antiviolenza e per l'accoglienza delle vittime della guerra. La scelta di lavorare con tutte le etnie è molto importante soprattutto per le donne che pensano sia possibile una soluzione del conflitto attraverso il dialogo e non la guerra. Parecchie delle donne stuprate hanno raccontato di essere state messe in salvo da donne di un'altra etnia, piccole cose, ma che danno speranza in una situazione in cui sembra che l'umanità non possa avere futuro. Comunicatostampa Apprendiamo con soddisfazione che il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha deciso dall'unanimità di istituire un Tribunale di Guerra che giudichi e punisca i responsabili degli stupri di massa ed altri delitti contro l'umanità, commessi nel conflitto che coinvolge alcune Repubbliche della ex Iugoslavia. Il Parlamento Europeo, la sua Commissione per i Diritti della Donna (ancora nell'audizione pubblica del 18 febbraio u.s.), molteplici Istituzioni e la Comunità Internazionale ne avevano più volte fornito la richiesta. Consapevoli che i più orrendi crimini sono stati perpetrati contro donne e bambini inermi, assumendo forme nuove e aberranti di strumenti di guerra, come lo stupro sistematico, dobbiamo purtroppo rilevare, con acuta preoccupazione, l'assenza di donne nelle precedenti Commissioni 18 d'inchiesta (quella delle Nazioni Unite e quella Italiana) sui crimini di guerra. Non vorremmo che il Collegio giudicante che si andrà a costituire sia ancora una volta composto da soli uomini! Richiediamo quindi al Consiglio dei Ministri della Comunità un impegno affinché gli Stati della Comunità presenti nel Consiglio di Sicurezza assumano una posizione comune in favore di una presenza femminile maggioritaria nel Tribunale. Anche da ciò si capirà se si vuole o meno rendere giustizia alle donne. Anna Catasta, Adriana Ceci, Pasqualina Napoletano Eurodeputate del Pds Bruxelles, 24 febbraio 1993
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==