icl.lL BIANCO lXILROSSO _,,,.,.,, Quelle di tipo keynesiano devono consistere in un «rastrellamento» del bilancio dello Stato per reperire tutti i fondi disponibili agli investimenti, al pagamento dei debiti verso le imprese, all'avvio di tutte le opere pubbliche possibili, all'attuazione di progetti straordinari di interesse sociale (ripulitura dell'alveo dei fiumi, beni culturali, ecc.). La svalutazione della lira, la flessibilità del cambio, la piena utilizzazione dei fondi strutturali Cee e il reinvestimento dei proventi delle privatizzazioni possono concorrere, anch'essi, a tonificare il mercato e a sostenere l'occupazione. Le misure di tipo lavoristicodevono dare una flessibilità al mercato del lavoro. L'argomento secondo il quale non ha senso rendere flessibile un lavoro che non c'è è francamente demagogico e sbagliato. In realtà una delle cause della disocuppazione giovanile e della scarsa mobilità è proprio la rigidità del nostro mercato del lavoro che in una fase di disoccupazione crescente diventa un handicap che è interesse di tutti rimuovere. La disoccupazione, infatti, non è tutta uguale: c'è la disoccupazione giovanile e c'è quella femminile, ci sono i lavoratori prossimi alla pensione e quelli fra i 35-50 anni. Ognuno ha problemi specifici e l'efficacia di una politica dipende dalla capacità di incidere su queste specificità. Si può discutere sul salario d'ingresso, sui contratti di inserimento o sui contratti di formazione e lavoro,ma non c'è dubbio che sono strumenti utili per favorire l'inserimento dei giovani nel processo produttivo soprattutto in un Paese nel quale il 71 % dei lavoratori in cerca di occupazione è rappresentato da giovani. Anche il lavoro interinale presenta aspetti discu - tibili (anche se regolamentabili): ma non vi è dubbio che per certi settori e per certe fasce di lavoratori può essere uno strumento utile. 9 I contatti di solidarietà dovrebbero essere utilizzati assai più ampiamente se si vuole evitare l'espulsione dei lavoratori più anziani. Più complesso è il problema dei lavoratori che si trovano nella fascia centrale (fra i 35 e 50 anni) e che se messi in mobilità, rischiano davvero di non trovare un nuovo lavoro. Il prolungamento indefinito della cassa integrazione non è la soluzione del problema. La soluzione è la riqualificazione e una gestione attiva della mobilità. Vogliamo sperimentare, sia pure per un arco di tempo breve, strumenti nuovi quali corsi di formazione mirati, concordati fra le organizzazioni sindacali e gli imprenditori o !'out placement affidato a società specializzate. Su questo terreno, quello cioè della gestione della mobilità, il Paese deve dotarsi di strutture e di una capacità gestionale che va costruita, insieme, dalle organizzazioni sindacali, dagli imprenditori e dalle istituzioni. In conclusione la mia opinione è che per creare lavoro bisogna imboccare la via dello sviluppo e che questa richiede una severa gestione del bilancio e insieme misure incisive, e forse impopolari di riforme dello stato sociale; che nell'immediato, si debbono accompagnare le misure di riforma e di rilancio dell'economia con misure congiunturali coerenti; che, infine, tutto ciò si possa realizzare a due condizioni: che le forze del rinnovamento, le forze riformiste, trovino una loro unità e si qualifichino come una credibile forza di governo e che si realizzi in un patto sociale fra le organizzazioni sindacali, le organizzazioni imprenditoriali e il Governo. Non un patto corporativo, non un confuso convergere, una autonoma assunzione di responsabilità da parte di ciascuno per rinnovare il Paese e promuovere, difendendone i bisogni e i valori, il lavoro.
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