Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 36/37 - gen.-feb. 1993

~.{1,BIANCO l.XILROSSO •h•IMM•• cronista, dopo tutto, racconta solo ciò che gli viene detto. A rompere il segreto non è lui, ma chi gli passsa veline (spesso «avvelenate» e ne strumentalizza il lavoro contando sull'impunità. A questo punto la storia sembrerebbe chiusa. Anzi ci sono giornali che l'hanno chiosata in positivo.Ad esempio, è stato annunciato che, entro febbraio '93, sarà definito il Codice di autoregolamentazione televisiva per la tutela dei bambini. Le associazioni a tutela dell'infanzia (come Unicef, Telefono azzurro, maestri cattolici, ecc.) stanno stendendo le loro osservazioni su un testo base lanciato per diretta iniziativa delle controparti, in questo caso niente meno che Fininvest, Telemontecarlo e la Federazione radiotelevisioni (Frt). Dunque la strada futura è piuttosto l'autoregolamentazione da parte degli stessi editori? L'ipotesi è interessante, soprattutto perché non vi erano finora grossi segnali in questo senso. Tutta la tematica dell'etica del lavoro giornalistico è stata gestita da pochi esperti o nell'ambito di singole iniziative. Alcune redazioni hanno preferito la strada contrattuale, mettendo a punto codici non solo di diritti ma, anche di micro-doveri, a cominciare da Il Sole 24 Ore e La Repubblica, per arrivare alla Rai e ad altre testate anche dopo la definizione di migliori regole nel ceni nazionale. Ma quanto è estendibile questa via autonoma? Poco hanno funzionato finora figure di Garanti interni alle testate (ombudsman), tra l'altro poco inseribili nella vita e nella cultura redazionale. Poco resta nella stessa Germania che li praticò a lungo dei cosidetti «statuti redazionali» che anche attraverso strumenti nuovi come il «bilancio annuale redazionale» consentissero la codeterminazione dei programmi e degli investimenti. Poiché l'impresa editoriale non è equiparata alla legislazione sulle imprese private, neanche lì è possibile una partecipazione strutturata e garantita da una legge. E gli sforzi per via solo contrattuale hanno avuto fiato corto. L'intervento legislativo è dunque sempre stato alle porte, né si può risolvere il contrasto attuale imputando diabolici intenti agli attuali parlamentari. Nessun vuol ledere il diritto di cronaca, che però resta un diritto costruito più in itinere, per presa d'atto, che per riconoscimento di una precisa funzione giornalistica. La Costituzione, infatti, si limita a prevedere la non punibilità per diffamazione nel caso in cui si 70 è esercitato un preciso diritto o esercitato un dovere. Per molti giudici anche il giornalista si può trovare in questa situazione, purché possa dimostrare di aver fatto il possibile per controllare la veridicità dell'informazione ricevuta e poi data ai lettori. Anche la forma ha la sua importanza. Secondo la Cassazione, il linguaggio usato nel riferire non dovrebbe mai trascendere, ma una recente sentenza invece ha «salvato»due noti giornalisti dall'accusa di aver insultato pesantemente il dc Sbardella: pare che in clima elettorale si abbia diritto a qualche comprensione in più ... I giornalisti hanno sempre ribadito di voler essere trattati come tutti gli altri cittadini. C'è un codice penale e uno civile: perché imporre regole ad hoc? Così, quando la Cassazione nel 1984si impegnò a stilare un dettagliato elenco di comportamenti censurabili del giornalista (comprese le insinuazioni, i sottintesi sapienti, le mezze verità), tutto l'ambiente si ribellò e gridò allo scandalo. In questi anni si sono mossi alcuni tentativi, oltre quelli di singole redazioni. In particolare si è andati avanti nella tutela dei «soggetti deboli», con esperienze come la Carta di Treviso e poi le prese di posizione del Consiglio consultivo degli utenti istituito con la legge Mammì sulle radiotelevisioni. La stessa idea del Giurì sull'informazione ha avuto una lunga genesi, partendo dall'originale esperienza inglese dove esso è in mano agli editori, passando per la proposta Bovio-Boneschi del 1990con preciso ruolo per la magistratura, fino a proposte «morbide» intendendolo come ufficioreclami (Angelo Agostini), meglio se legato finalmente ad una legge-quadro breve ed efficace che sancisca le specificità dell'«impresa editoriale» e dunque in cosa consiste la sua utilità o il suo interesse «sociale» e qui il mondo berlusconiano scatta in piedi e rifiuta queste terminologie in nome del diritto di iniziativa primitiva). Si impone però una riflessione. Perché finora tutte queste vicende non hanno appassionato nessuno? Disattento il pubblico, salvo casi clamorosi, scettici o diffidenti i giornalisti. «I problemi sono altri» si è sempre risposto, sia che si discutesse di nuovi diritti da inserire nei contratti di lavoro, sia che si commentassero le lettere pastorali del cardinal Martini, con le sue garbate bacchettate sulle dita al giornalista d' «assalto». Oggi tutto fa spettacolo. Funari che impreca, come Chiesa che sogghigna. Di Pietro che fa gli spot,

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==