Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 36/37 - gen.-feb. 1993

- I - .PJL BIANCO l.X.11..ROSSO Mil•Miiiii tocratica e dove il sindacato ha partecipato allacogestione dell'inefficienza, quando non al saccheggio. È ovvio perciò che nelle Poste, nella Sanità in parecchie azienda municipalizzate l'illegalità sindacale sia più probabile che non in acciaierie o in una manifattura tessile. Altre opportunità le troviamo nelle aziende marginali dove il controllo dei lavoratori e il livello di trasparenza sono bassissime. Come regola generale potremmo dire che le trasgressioni sindacali sono più facilmente di casa in ambienti di lavoro «malati» in cui i criteri di efficienza, di diligenza e di merito professionale sono tendenzialmente ignorati. Sarebbe allora sbagliato dedurre una ingiusta condanna per il sindacato. L'accusa che ci dobbiamo fare è semmai quella di aver contribuito anche noi a sviluppare e a difendere una mentalità statalistico-burocratica, tale da schiacciare l'etica stessa del lavoro. C'è però un'altra questione morale ed è quella concernente la deriva delle regole interne al sindacato, anche là (come nella Cisl) dove c'era una superiore sensibilità formale. È un portato dell'espressione burocratica e dell'ingresso inevitabile dei sindacalisti nel ceto politico in senso lato. Abbiamo così una gestione disinvolta dei distacchi sindacali, svariate e gravi anomalie nei congressi, tessere non consegnate, probiviri di regime, bilanci oscuri. In poche ma rilevanti categorie di fatto gli incentivi alle rivendicazioni sono tali da renderla di fatto obbligatoria mentre in altri aderire è ancora un rischio e un sacrificio. C'è perfino un caso in cui gli iscritti a Cgil Cisl e Uil sono più numerosi degli addetti regolari al settore. Ci sono luoghi in cui essere del sindacato vuole dire abbandonare ogni prospettiva di carriera sindacale ed altri in cui si diventa dirigenti restando in distacco sindacale. Non si tratta di illegalità ma pur sempre di una condizione moralmente inaccettabile. Insomma a volerlo c'è parecchio da fare. Specie se a fare vogliamo esser noi e non aspettare qualche duro intervento da fuori. Rilanciareeconomiea lavoro: senzademagogiec,onresponsabilità di Gianfranco Borghini 1problema dell'occupazione è certamente il più grave fra quelli che stanno oggi di fronte al Paese, ma è anche il più difficile da risolvere. Proprio per questo non si deve dare l'idea che esistono soluzioni facili e che sia solo questione di volontà politica il realizzarla. Chi ragiona in questo modo è un demagogo. La verità è che un'efficace politica per l'occupazione presuppone misure economiche e di riforme tutt'altro che «popolari». Anzi, presuppone misure che, almeno nell'immediato, sono destinate a scontentare soprattutto 7 quello che in gergo si chiama il «popolo di sinistra». Il presupposto essenziale di una politica che ponga al primo posto l'allargamento e la qualificazione della base produttiva nazionale al fine di creare - principalmente per questa via - nuovo lavoro, è infatti, il reperimento di risorse attraverso una severa politica di bilancio. Ridurre la spesa e aumentare le entrate è dunque il primo passo da compiere. Il secondo è quello di incidere sui meccanismi stessi delle spese (e delle entrate) attraverso riforme che modifichino in modo sostan-

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