In altri termini, c'è da condurre a buon fine il Programma sociale in corso (e in particolare l'adozione della proposta di direttiva relativa ai Comitali aziendali europei). C'è da pensare al futuro del programma di azione sociale nel contesto delle nuove competenze acquisite dopo il vertice di Maastricht. E c'è da lavorare a lutti i nodi da sciogliere per poter avanzare nella strada di una contrattazione a livello comunitario (problemi di rappresentanza; legittimità e autoriforma delle parli sociali; mandalo natura e livello degli accordi europei; definizione dei temi di negoziazione; valore e attuazione degli accordi; il ruolo da riservare al parlamento europeo, ecc.). Ma c'è anche da ribadire con forza che la cosiddetta «dimensione sociale» del grande mercato - cioè la definizione di un minimo di diritti sociali non negoziabili, e quindi definiti attraverso una legislazione comunitaria - non basta, benché sia indispensabile. Può arginare - in un mercato senza frontiere - il rischio più che reale di un vero e proprio dumping sociale, ma non è sufficiente per la creazione di uno spazio sociale europeo. La creazione di uno «spazio sociale europeo» - connesso e sinergico allo spazio economico - implica un insieme coerente di politiche, di norme legislative, e di nuove relazioni industriali, operanti nel quadro di una reale democrazia economica e politica. Dopo la ratifica del nuovo Trattato, occorre rivedere i criteri di convergenza a Maastricht definiti - e le modalità di messa a punto dei Piani nazionali di covergenza associandovi le parti sociali - cercando di accellerare e non di rinviare la costituzione di una vera e propria Unione economica e monetaria, e dell'Unione politica europea. Inoli.)JJ, BIANCO lXILROSSO • i il ili) id i i■ t11 @11 ii tre, a mio avviso, oltre che affrontare con determinazione l'«emergenza occupazione» - destinata ad aggravarsi, senza, tra l'altro, un'adeguata politica industriale concertata almeno a livello comunitario ed Ocse - occorre immaginare e mettere a punto (a livello nazionale e comunitario) strumenti idonei all'attuazione dell'art. 130B, la cui redazione è stata a Maastricht migliorata. L'articolo - introdotto nel Trattato dell'Atto unico europeo - riconosce che l'obiettivo della coesione economica (il riequilibrio regionale) e sociale va perseguito attraverso tre vie: - una politica economica coerente anche con tale obiettivo; - politiche comunitarie anch'esse tutte coerenti con l'obiettivo della coesione, dalla loro elaborazione alla loro attuazione; - e infine i Fondi strutturali della Comunità e gli altri suoi strumenti finanziari. Finora - come dimostralo da un Parere d'iniziativa sulla coesione del Comitato economico e sociale, cui ho lavoralo in veste di esperta del relatore - l'art. 130B è praticamente rimasto inattuato. Come ci si sia attrezzando per renderlo operativo?Perché non richiedere alla Commissione Cee la creazione in ciascuna delle sue Direzioni generali di una TaskForce incaricata di esaminare la coerenza di quanto si fa con l'obiettivo della coesione; ed una razionalizzazione delle attuali DG XVI e DGXXII, riadattate ai compiti che le spettano? Perché non creare in ciascuna delle regioni (o unità amministrative ad esse equivalenti) di ogni Stato membro degli «osservatori regionali europei» - non carozzoni costosi, ma piuttosto strutture flessibili capaci di coordinare istituzioni e strumenti (pubblici e privati) già esistenti - coordinati a li68 vello nazionale e comunitario. Tali osservatori potrebbero essere funzionali ad almeno sei obiettivi: I. migliorare le analisi di carattere comparato; 2. rendere possibile una vera politica per gli studi finanziati con risorse pubbliche, e comunitarie, affinché questi corrispondano alle esigenze conoscitive richieste dalla messa a punto di strategie comunitarie (e nazionali), piuttosto che ad una finanza allegra, talvolta favorevole solo ai beneficiari di commese appellilose. Le buone terapie richiedono innanzitutto diagnosi, esatte e rigorose; 3. rendere possibile un avera politica della formazione: cioè, corsi finalizzali alle esigenze reali del mercato del lavoro; 4. rendere la politica della concorrenza della Comunità, da una parte più trasparente ed efficace, e dall'altra più coerente con la politica regionale e con l'obiettivo della coesione; 5. rendere fallibile l'elaborazione di una relazione economica annuale relativa alla realtà delle entità territoriali locali di ciascun paese membro, che venga ad affiancare la tradizionale relazione economica annuale della Commissione Cee; 6. !asi bui noi least, rendere possibile una valutazione - organica e sistematica - della coerenza (ed effetti territoriali) delle politiche comunitarie con l'obiettivo della coesione, in modo che se ne possa tener conto nella loro elaborazione. Che si traiti di occupazione o di coesione, a mio avviso, non basta lo stanziamento di ulteriori risorse finanziarie. Ciò che conia più di lutto è il chiedersi «come saranno spese queste risorse? Con quale ricadute? Nel quadro di quale strategia?».
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