ancora perché considerati ostacoli allo sviluppo economico e all'occupazione. Certo, in materia di sicurezza sociale c'è innanzitutto da distinguere ciò che concerne cure mediche, disoccupazione, vecchiaia, maternità, prestazioni familiari, incidenti sul lavoro... da una parte, e ciò che concerne l'assistenza (lotta contro la povertà, l'esclusione economica e sociale, la promozione dell'inserimento) dall'altra. Comunque la posta in gioco della proiezione sociale non è solo finanziaria (rapporto fra attivi ed inattivi, frodi, ecc ...). È una scelta di società: c'è solo da sapere quanto si è pronti a pagare per questa scelta, come pagare, e chi paga. Ed è una scelta cui devono contribuire Poteri pubblici, imprenditori e i lavoratori con i loro rappresentanti. Cosa si è fatto? Già alla luce delle sole considerazioni che precedono, l'obiettivo dell'Europa sociale resta irrinuciabile. Certo - per il sociale - sono riscontrabili alcuni progressi: l'adozione a 11 del Protocollo sulla politica sociale a Maastricht, progressi nei campi della sicurezza e salute sul posto di lavoro, della formazione professionale (adozione di programmi comunitari in materia), dell'educazione (il programma Lingua, il reciproco riconoscimento dei diplomi ecc.), più recentemente, nell'approvazione al Vertice di Edimburgo (dicembre 1993)della cosiddetta «iniziativa di crescila» e nelle sue decisioni relative all'entità della dotazione finanziaria del nuovo Fondo di coesione previsto a favore dei Paesi più deboli (che non riguarda anche l'Italia) e degli orientamenti guida della nuova dei Fondi strutturali tradizionali... Tuttavia, il divario fra la costruzione economica e quella dell'Europa sociale resta inconfutabile. Al Consiglio europeo di Strasburgo (dicembre 1989) 11 su 12 Stati membri (tutti, meno il Regno Unilo) hanno adottato la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, testo, per certi aspetti, meno ambizioso del primo progetto di Carta inizialmente presentato. La Carla è importante per il fatto stesso di essere stata varata. Il 20 novembre 1989, la Commissione Cee ha adottato un «programma di azione» per la concretizzazione dei principi sanciti dalla Carta sociale senza peraltro indicare un calendario di lavoro. Su 45 .P-ll, BIANCO l.XILROS&l •i il B11U l1 Mtiii11■i proposte sono previste solo 17direttive, di cui 11concernenti la questione salute e sicurezza sui posti di lavoro. In molti casi, la Commissione si limita a proporre raccomandazioni (è il caso ad esempio per la protezione sociale, la tutela dei bambini, il reddito minimo, le persone residenti in zone transfrontaliere). Tale programma di azione sociale - sottolineò fin dall'inizio la Confederazione europea dei sindacati - andrebbe completato tra l'altro da «ildiritto a un salario minimo garantito dalla legge e/o accordo collettivo; il diritto a un redditto minimo garantito; il diritto per i pensionati, i malati, i disoccupati, gli handicappali ... ad indennità collegate al potere d'acquisto dei lavoratori; la protezione dei lavoratori e delle lavoratrici contro i licenziamenti individuali e collettivi; la parità di trattamento per i lavoratori e le lavoratrici extracomunitari» (Risoluzione generale adottata al VII Congresso della Ces). A distanza di più di Ire anni, la Commissione ha presentato quasi tutte le proposte annunciate nel suo programma di lavoro, nel rispetto del principio di sussidiarietà. Su 47 iniziative (49 se si considerano i tre testi sul lavoro atipico), la Commissione ha presentato al Consiglio 28 proposte. Il Consiglio ha adottato, complessivamente, sedici proposte: 9 direttive, 4 raccomandazioni, due decisioni e un regolamento. Il che significa che, attualmente, il Consiglio dei ministri della Cee, ha adottato il 95% delle misure previste per la realizzazione del grande mercato senza frontiere, cioè, quasi 280 misure; e che delle 17 proposte di direttive sociali, previste dal programma di attuazione della Carta sociale, ne sono state definitivamente adottate solo 8. Sulle più importanti - ad esempio quelle relative all'orario di lavoro, al lavoro cosiddetto atipico, al Comitato europeo di impresa, al trasporto dei lavoratori portatori di handicap - non si è giunti a nessun accordo definitivo. Inoltre, l'esperienza della direttiva sulla maternità - a molti - ha fornito l'occasione per un cerio ripensamento della strategia della definizione di soglie minime comunitarie al di sotto delle quali non è possibile andare, senza precludere la possibilità di soglie più alte. È vero che la «dimensione sociale» del grande mercato - intesa quale definizione di un minimo di diritti sociali non negoziabili, definiti quindi attraverso una legislazione comunitaria - gioca al ribasso? Io non me la sento di 67 rispondere no. Riprendendo ancora una volta la direttiva sulle donne incinte, se è vero che quanto deciso a livello Cee prefigura una realtà inferiore al diritti attualmente in vigore in Italia, è vero anche che la direttiva Cee- anche così com'è- consente dei passi in avanti in paesi membri della Comunità, in cui la realtà dei diritti delle donne incinte era di gran lunga inferiore anche a quella delineata dalla direttiva Cee. Del resto, la direttiva Cee non impone al nostro paese di allinearsi a quanto deciso a livello comunitario. Cerio anche nella legislazione sociale, finirà con l'imporsi una competizione fra ordinamenti nazionali, ma non dimentichiamoci che la Confederazione europea dei sindacati (la Ces) ha sempre considerato la dimensione sociale come un obiettivo realizzabile attraverso due metodi complementari: il metodo legislativo (direttive e regolamenti) e quello della contrattazione (accordi e convenzioni collettive). Si tratta oramai di attivare il nuovo spazio negoziale delle relazioni industriali a livello europeo - aperto dal Protocollo sulla politica sociale di Maastricht - contribuendo anche al rilancio della dimensione sociale della Comunità. Col Protocollo sulla politica sociale adottato a Maastricht, non siamo più dinanzi a una dichiarazione di principi, ma di fronte a un Protocollo comunitario - adottato in undici - che autorizza gli Stati membri che intendono proseguire la strada tracciala dalla Carta sociale, a farlo. Questa nuova base giuridica, che viene ad aggiungersi a quanto sussiste nel Trattato, definisce ed amplia le competenze Cee in materia sociale; consente una maggiore possibilità di ricorso al voto a maggioranza - benché la lista delle materie da sottoporre all'unanimità resti ancora lunga; segna un vero e proprio salto di qualità per il ruolo delle parti sociali e la contrattazione collettiva; bref, lascia in vita un profondo dinamismo tutto da utilizzare nel senso giusto. Che fare? Il mercato unico e l'unione economicomonataria non possono essere lasciali a se stessi. C'è bisogno di una regolazione. Da un lato si deve sviluppare una legislazione sociale che fissi i diritti minimi garantiti a tutti i lavoratori e cittadini della Comunità. Ma nello stesso tempo occorre un livello europeo di contrattazione collettiva.
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