zione sempre maggiore e gli attuali meccanismi nazionali di informazione, consultazione e partecipazione dei lavoratori. Lintensificazione della concorrenza trova impreparate le strutture economiche più deboli e meno competitive a livello di singole imprese, di Regioni, e anche di Stato membro. A livello territoriale, l'efficacia comparata degli stessi sistemi amministrativi diventa una componente della capacità attrattiva di ogni singola Regione e del loro posizionamento in Europa. Lipotesi di un livellamento dei redditti regionali procapite per l'automatico operare nel mondo reale dell'economia regionale di una «mano invisibile» - il solo mercato, con le sue regole e spontaneità - appare del tutto infondata alla luce della storia e della teoria economica. Per ogni paese europeo, il mercato unico è una grande occasione, ma per alcuni questa grande occasione potrebbe diventare molto parziale e riguardare parte limitate e settori determinati della società. In ogni caso, le sue ripercussioni per alcune parti più «deboli» della Comunità possono tradursi in adeguamenti e ristrutturazioni maggiori che altrove. Inoltre, se è vero che fra i paesi della Comunità è già constatabile una vera e propria prassi di dumping sociale - tra l'altro attraverso l'importazione da un paese membro (ad esempio il Portogallo) vero un altro (ad esempio la Francia) di manodopera con minore protezione sociale e di minor costo, nell'attuale contesto dei processi di globalizzazione e di regionalizzazione che dominano l'economia mondiale, non vanno dimenticate e sottovalutate le prassi di decentramento produttivo e di delocalizzazione degli investimenti (con i relativi rischi di deindustrializzazione che ne conseguono) da paesi comunitari in paesi terzi (Cina, Europa centrale ed orientale ecc.) caratterizzati da costi del lavoro indubbiamente più bassi. Basti un esempio: le vicissitudini che attualmente travagliano il nostro settore tessile, il «made in Italy»: chiusura di fabbriche in Italia, e loro delocalizzazione in paesi quali ad esempio la Slovacchia, cassa integrazione per un numero sempre più cospicuo (e destinato a crescere?) di lavoratori. .. Per l'Unione economica e monetaria, a Maastricht sono state fissale scadenze ben precise, le procedure da seguire nei confronti dei disavanzi pubblici, i requisiti necessari per partecipare alla creazione di it)JLBIANCO lXILROS&) •i M■B■) li li■t■M Uh una moneta unica (l'ecu) - non prima del 1997 e non oltre il 1999 - e per la messa a punto di programmi di convergenza delle economie dei Paesi membri. La sfida consiste nel raggiungere rapidamente una convergenza in termini nominali (disavanzi di bilancio, tassi d'inflaziòne ecc.), riducendo nel contempo le disparità regionali esistenti. Intanto, tassi d'inflazione repressa, gerarchia dei mercati monetari e creditizi, tassi di cambio sopravvalutati - e tutto quanto questo comporta - rappresentano i principali rischi percepibili nella realizzazione della sola unione monetaria. Inoltre, da una parte, le disposizioni del Trattato in corso di ratifica sono troppo orientate solo verso la stabilità monetaria (pure indispensabile), considerata da sola come la condizione preliminare della realizzazione di altri obiettivi quali la crescita, l'occupazione e la coesione economica e sociale: i criteri individuati per assicurare la convergenza delle economie dei paesi comunitari non tengono sufficientemente conto dei dati dell'economia reale; sotto pretesto di controllare l'inflazione e di operare un risanamento di bilancio - operazioni comunque indispensabili - si rischia di sacrificare esigenze fondamentali quali occupazione e spese sociali. D'altraparte, benché a Maastricht sia stato stabililo il traguardo della moneta unica e della Banca centrale europea, in realtà la cooperazione tra le politiche monetarie dei singoli paesi resta evanescente, e la Bundesbank agisce senza tener conio del contesto europeo di stagnazione economica, di recessione e di disoccupazione crescente che impedisce alla maggioranza dei paesi di raggiungere gli obiettivi di convergenza fissati a Maastricht (riduzione del debito pubblico, dell'inflazione e dei tassi d'interesse). Lo stesso annuncio delle condizioni richieste per la convergenza - politiche restrittive sul piano monetario, del bilancio e dei salari - è diventato un fattore cumulativo di crisi economica e sociale. È in gioco una scelta di società La duplice sfida del grande mercato senza frontiere e della Unione economica e monetaria da una parte, e i processi di globalizzazione e delocalizzazioni produttive dall'altra, possono di certo influire anche sulla protezione sociale, aumentando il rischio di «svalutazioni sociali», da accom66 pagnare - o preferire - alle «svalutazioni monetarie». In altri termini, è possibile un ribasso dei costi salariali attraverso una riduzione degli oneri sociali obbligatori delle imprese, e un ribasso della copertura sociale dei salari. Lo stesso salario d'ingresso per i giovani, recentemente introdotto in Italia, mi sembra andare verso questa direzione. Certo, in Italia come altrove, vanno affrontati i problemi posti dall'emergenza «occupazione»: lavoro nero, posti di lavoro esistenti in pericolo, disoccupati di lunga durata, giovani mai entrati nel mondo del lavoro ecc. Ma un'altra cosa è certa: all'interno della Cee, un incremento delle differenze sociali già oggi riscontrabili renderebbe più difficile l'esercizio di una «sana» libera circolazione dei lavoratori, e la lotta contro il cosiddetto «turismo sociale»; e ancora, sviluppo e progresso sociale, efficienza, stabilità ed equità, richiedono politiche - inlenazionali, comunitarie e nazionali - all'altezza della situazione. Basta con clientelismo e corruzione, tangentopoli e legge della giungla, furti e sprechi di risorse pubbliche, arroganza del potere, egoismi e miope nazionali, ignoranza vera e fasulla. Occorrono politiche sane - il cui obiettivo prioritario sia il benessere di tutti i cittadini - fra loro coerenti. Occorrono valutazioni severe del loro impatto. E soprattutto in Italia, occorrono veri e propri codici di condotta (e possibilità di sanzioni) che stabiliscano «i doveri" delle istituzioni (qualunque esse siano) e i «diritti del cittadino contribuente», tuttora, constantemente calpestati, in particolare nel nostro paese. Lubriacatura del potere ha già fatto troppi danni: l'illegalità quale vera legalità; dispresso della legge, dell'adempimento del proprio dovere e degli «onesti»; arroganza ed abusi, consacrati quale unici valori rispettabili; portaborse e cani fedeli in posti sbagliati; esigenza di tessere di partiti invece di competenze, ecc. È ora che la tangentopoli scoppi con forza in tutto il paese. È ora che la parte sana della stessa magistratura passi alla riscossa, nei confronti dei colleghi più sensibili a «bustarelle» che alle richieste di Giustizia loro indirizzate; e che tale riscossa sia sostenuta con altrettanta forza da tutte le forze sane del paese. I sistemi di sicurezza sociale dei paesi europei si ritrovano messi in discussione, apparentemente per una loro incapacità di adattarsi alle sfide del futuro e di rispondere alle nuove esigenze, peggio
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