Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 36/37 - gen.-feb. 1993

dire dopo la sconfitta referendaria: «Il no è risultato vincitore proprio accreditando come contenuto autentico e scopo principale della legge la prevenzione dell'aborto e la tutela della vita». Certo, come giustamente la nota redazionale rileva, anche il secondo fatto, ossia l'altissima percentuale (quasi l'unanimità) dei no al referendum radicale confermò indirettamente, l'interpretazione della legge espressa dal ministro Bonifacio e dai relatori di maggioranza alla Camera. Si deve aggiungere che tale interpretazione è stata fatta propria, quasi sempre, dai più alti dirigenti comunisti, sia in sede di partito, dai segretari E. Berlinguer e Natta, sia, in Parlamento, da Bufalini il quale scrisse: «Noiintendiamo muoverci sulla via della liberazione della donna dall'aborto ... vogliamo assicurare alla donna la libertà di non abortire .... ». Tanto è vero che i relatori dc di minoranza, Coco e Bompiani, riconobbero che «in base all'attuale dizione della legge ... è illegale, e perciò dovrà ritenersi vietata ogni attività direttamente o indirettamente rivolta a determinare o a convincere la donna all'aborto» Quanto a E. Berlinguer, ecco almeno un paio delle sue affermazioni nella campagna referendaria: «Lalegge ha creato le condizioniper combattere l'aborto alle radici, per rimuoverne le cause»; «deve esser chiaro che sia come difensori della legge sia come comunisti,noi non consideriamo l'aborto una conquista civile, un fatto positivo. E la legge non approva né favoriscel'aborto, così come non accettano né approvano l'aborto le donne che per questa legge hanno lottalo, lo Stato che l'ha promulgata». Possiamo anche notare che tutta questa serie di dichiarazioni ufficiali - molte altre se ne potrebbero aggiungere - permette fondatamente di ritenerle consonanti e non contrastanti con la lettera e lo spirito del documento pubblicalo dalla Congregazione per la dottrina della fede della Chiesa romana il 14 novembre 1974 dove si esclude che i cattolici possano collaborare in qualsiasi modo a una «lexquae principium liceitatis abortus recipial». Scrive la rivista, con esalta veridicità: «Per questo milioni di cattolici ritennero, al momento del referendum, di poter sottoscrivere la legge». È lecito comunque concludere che, con la 194, lo Stato italiano non ha avuto affatto, come si pretende dagli avversari della legge, un atteggia- .PJt BIANCO (XJLROSSO lit•#Olil mento di neutralità verso l'aborto. Scrisse Giuseppe Branca, che aiutò molto con la scienza giuridica e con l'ironia la formulazione degli emendamenti approvali in Senato: «Il testo della Camera sembrava quasi fondarsi sul presupposto che la interruzione della gravidanza debba esser oggetto di un diritto fondamentale di libertà o comunque di un diritto inviolabile della donna. Il che non è... I.:eserciziodi una qualunque libertà non è mai un vero male né per la collettività né per le persone (se lo fosse, non sarebbe un esercizio di libertà ma al di là delle apparenze sarebbe un atto contrario all'ordinamento dello Stato). I.:aborto invece è sempre un male qualunque sia la ragione che lo determina, un male in sé, poiché elimina un frutto (iniziale) d'una funzione fisiologica e perché è sempre un atto violento che strappa dalle viscere della madre una speranza di vita. Sono poche le donne (ce ne sono?) per le quali l'aborto, pur voluto, non sia una sofferenza dell'oggi e spesso anche del domani (ricordo amaro o rimorso). Esso è una ferita a cui la donna, se ha coscienza di quel che sia la con~ dizione di madre, non si espone con eccessiva leggerezza come a un gioco». Una volta ratificata dal corpo elettorale (e con una maggioranza ben più ampia di quella parlamentare) la 194, si poteva anche razionalmente sperare che le contrapposizioni di principio venissero meno; e che tutti, vincitori e vinti del 1981, collaborassero al successo della legge, ossia al dichiarato intendimento di voler combatter l'aborto non più con la minaccia penale, che s'era dimostrata soltanto teorica, e vana, ma con l'azione sociale concreta di sostegno alla maternità difficile o comunque non desiderata. Purtroppo non è stato così. Dalla parte dei «vinti»non si è mai accettata la sconfitta, non si è mai dimessa la speranza di far fallire la legge attraverso la diffusione massiccia dell'obiezione di coscienza (spesso ispirata da motivazioni tutt'altro che moralmente autentiche, piuttosto di interesse professionale, inerenti alla costrizione, per la defezione dei colleghi, di dover fare soltantoaborti, non senza conseguenze negative anche per la carriera) e oggi si pensa a correggere la legge, in realtà volendone rovesciare l'impostazione. Dalla parte dei «vincitori» si è preferito schierarsi frontalmente contro gli avversari e gli obiettori, ci si è preoccupali che la macchina per abortire funzionasse bene 53 piuttosto che funzionassero bene anche le strutture sociali chiamate dalla legge a operare per «rimuoverele cause» da cui la donna era indotta a chiedere l'aborto. È avvenuto così che, da un lato, vi sono state zone e ospedali in cui era difficilissimo ottenere l'intervento (conseguenza: la clandestinità); dall'altro, i consultori e i medici di fiducia, salvo eccezioni peraltro rare, hanno instaurato una routine in cui si limitavano a una burocratica presa d'atto della volontà della donna, non si preoccupavano affatto di coinvolgere il padre del concepito anche quando la donna non vi si sarebbe opposta e anzi, forse, l'avrebbe desiderato, non compivano il benché minimo sforzo per studiare possibilità alternative da proporre e rendere concretamente persuasive. Attuata scarsamente, e comunque in misura inadeguata, non certo rispondente alla volontà del legislatore, è risultata anche la prevenzione, ossia la diffusione delle conoscenze e delle pratiche anticoncezionali. Ciò nonostante, come si sa, dopo una salita durata per alcuni anni fino al 1983, gli aborti hanno preso a scendere ogni anno un po' più; cosicché, sotto questo profilo, si può registrare una tendenza positiva della legge, conforme alla volontà del legislatore. Che contemporaneamente, come si dice, vi sia stata una ripresa degli aborti clandestini, mi sembra affermazione azzardata, soprattutto polemica, data la mancanca, anzi l'impossibilità di dati certi sui quali discorrere. Il Parlamento ha esercitato assai fiaccamente il suo potere di controllo dei dodici anni che sono trascorsi dai referendum: se si eccettua l'ampia discussione svolta dalla Camera nella passata legislatura, che si concluse con una larga convergenza su molte questioni, a cominciare dal potenziamento delle strutture preventive e dissuasive. In quella discussione lo stessoon. Carlo Casini, che della battaglia contro la 194 ha fatto l'asse portante della propria attività politica, ammise che la via penale non era più adatta a combattere l'aborto. Stando così le cose, la discussione riaperta dall'accenno di Giuliano Amato rischia non solo di riportare indietro l'orologio e di scatenare inutili polemiche di principio, ma anche di non approdare a nulla. Vi sono, mi sembra, almeno due punii da tenere ben fermi come premessa indispensabile per qualunque discussione

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