Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 36/37 - gen.-feb. 1993

cui «Il Bianco e il Rosso» mi ha chiesto questo contributo: nella lettera di Gennari lo sguardo che io chiedo c'è, tant'è vero che vi si riconosce che «il concepito è tutelato dalla Costituzione repubblicana». Non condivido altri giudizi contenuti in quella lettera, ma vi trovo l'essenziale. L'indispensabile per iniziare un dialogo costruttivo non è discutere di legge penale, di autodeterminazione o di contraccezione, ma il riconoscimento del valore di ogni essere umano, fin dal primo istante di vita. Non c'è da meravigliarsi se in tutto il mondo il capitolo «aborto» non si chiude. È il ~egno di una inquietudine positiva, la prova che, in definitiva, l'uomo non è mai totalmente censurabile. Gennari ci invita a tener conto che esiste una legge ed esiste un risultato referendario. Ne tengo conto. Sono fatti. Ma c'è anche quest'altro fatto: il bambino non nato. È un fatto che dal 5/6/1979 sono oltre 2.800.000 in Italia i viventi umani cui legalmente è staia tolta l'esistenza. Il numero corrisponde a quello della popolazione di Roma. In termini giuridici lo «sguardo» significa «individuazionedi uno dei beni protetti». La riforma della L. 194non può che partire da qui: il bene della vita umana è stata adeguatamente tutelata? Possiamo fare di più? Veniamo, dunque, alle possibili riforme legislative. Ho presentato, insieme a molti colleghi, due proposte, ispirate a due diverse logiche: l'una cerca di ubbidire alle indicazioni della nostra Corte Costituzionale; l'altra fa credito a quanti, pur difendendo la legge vigente, non ignorano il concepito, ma contemporaneamente affermano la depenalizzazione e l'autodeterminazione. Si tratta, cioè, di esaltare i timidi «sguardi» sul nascituro che già nella legge esistono, di renderli più penetranti, non equivoci e controllabili. Si potrebbe parlare - per usare una espressione sintetica - di una legge di interpretazione autentica per rendere seria una qualche tutela del diritto alla vita. In questo momento le soluzioni tecniche mi interessano meno di un consenso sulla impostazione culturale e sul metodo. Credo, perciò, che nelle mie proposte debba essere dedicata più attenzione alle relazioni che all'articolato. Sul piano del metodo io vado ripetendo nel mondo cattolico che occorre accettare una logica di gradualità e di maggior bene possibile. Nel «possibile»ci sono le mag- ,P.(t BIANCO lXltROS&) IU•#Olil gioranze parlamentari. Non cambio il mio giudizio negativo sulla L. 194, ma nel 1978 la situazione era diversa da quella attuale. Se la legge è ingiusta ogni riduzione della ingiustizia è un bene. Spiego anche che il ricorso alla sanzione penale per tutelare un diritto non è un dogma, ma una «extrema ratio», se non vi sono strumenti migliori. Riconosco che la vita umana prenatale si trova in una condizione irripetibile ed è largamente affidata alla mente ed al cuore della madre (ma anche del padre, della famiglia e della società!). Mi spingo oltre e nello sforzo di stabilire un dialogo, contro ciò che penso, mi sforzo di interpretare l'autodeterminazione non come un diritto di aborto (il che purtroppo oggi è e trattasi persino di diritto rafforzato al di là dei dinieghi verbali) ma come una scomessa sulla capacità della madre (ma anche del padre, della famiglia e della società!) se debitamente aiutata, se non vengono dislrutt~ le motivazioni del coraggio dell'accoglienza, di difendere efficacemente per prima il diritto alla vita del figlio. Ciò che non posso concedere agli «av50 versari» è il rifiuto dello sguardo sul bambino. Dico loro che la contraccezione non c'entra. Nessuno ha mai chiesto una legge contro la contraccezione. Anche i cattolici vogliono la procreazione cosciente e responsabile e rivendicano solo la libertà di indicare i mezzi che ritengono più adeguati alla dignità umana ed al significato della sessualità per realizzarla. La distinzione Ira aborto e contraccezione è moralmente e politicamente importante. Confondere le due cose è un procedimento abortista. Ma bisogna essere onesti: non bisogna chiamare contraccettivo ciò che uccide l'embrione dopo il concepimento. Una tale onestà intellettuale attribuisce il giusto significato anche alle parole «prevenzione» e «responsabilità». Il problema umano e giuridico specifico è come tutelare una vita già concepita non come impedire che essa inizi. Analogamente la prima responsabilità è verso la vita concepita. Se la dimentichiamo, paradossalmente, la stessa contraccezione - per chi intende solo ad essa affidarsi - perde sufficienti motivazioni e diviene lo strumento tecnico adeguato ad una visione banale della sessualità che, come tale, è moltiplicatrice di aborti. Quello della ragione e della verità è il metodo che dobbiamo scegliere sforzandoci di dimenticare polemiche e di sognare rinvicite. La vita umana non è un fossato: è un ponte. Alla luce della ragione la prima mia proposta di legge chiede: come è possibile non sentire il divario tra l'invito della Corte Costituzionale, più volte confermato («è compilo del legislatore ancorare la liceità dell'aborto ad un previo accertamento medico della serietà del pericolo per la salute della madre») e il principio di libera scelta della donna? E quando non suscitasse sufficiente consenso l'uso della bussola costituzionale, la seconda proposta chiede: non è almeno doveroso prevedere garanzie verificabili affinché il colloquio della donna con il medico si faccia davvero e sia una cosa seria: le cause indicate dalla donna siano dichiarate seriamente affinché seriamente siano rimuovibili: ristrutturare i consultori affinché davvero siano gli organi con cui lo Stato, mentre rinuncia a punire, non abdica al compito di proteggere la vita stessa dei più deboli; stabilire controlli rigorosi laddove, come oltre il terzo

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