Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 36/37 - gen.-feb. 1993

~!LBIANCO UJtROSSO ilii•Ciliil verni la cui debolezza era direttamente proporzionale alla forza e alla capacità di minaccia dell'oligopolio partitico. È più o meno questo !'«ambiente» o il «sistema» in cui si è definita e ridefinita nel tempo la logica dell' «attore» collettivo Psi. Sia chiaro: non intendo giustificare la progressiva trasformazione del partito socialista in uno dei partner più impegnati e affaccendati nel comitato d'affari dell'oligopolio dei partiti dell'ancien régime italiano; cerco solo di comprendere, alla luce della massima esigente del grande filosofo. Se si tiene presente questo sfondo che ha nella buona sostanza a che vedere con le trasformazioni del sistema di rappresentanza pluralistica di una lunga fase della democrazia italiana, non è sorprendente la apparente contraddizione fra le virtù innovative che nell'ambito della cultura politica della sinistra credo vadano riconosciute al Psi tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta e la costruzione di un'impresa politica di mediatori d'affari vistosamente partecipe dei vizi e produttori di veri e propri mali pubblici e danni privati di competenza della magistratura della repubblica. Ora, il collasso di legittimità e di credibilità di questo sistema partitico, consolidatosi negli ultimi decenni, non poteva non mostrare in primo piano - e in modo proporzionale all'ammontare di potere visibile e vistoso esercitato entro quel sistema - il fallimento di un partito che, per necessità o vocazione della sua leadership, ha costantemente proclamato e chiamato «strategia» quella che era semplicemente mutevole «tattica» nella partita con gli altri giocatori nel contesto del club dei partiti ubiqui e pervasivi, cui è ovviamente doveroso ascrivere un punteggio differenziato in termini di maggiore o minore responsabilità. Il primo abbozzo di riflessione consente in tal modo di porre l'accento sulla necessità 1) di prendere atto che, più o meno drasticamente il contesto di fondo è oggi mutato; 2) di prendere sul serio la questione inderogabile della ridefinizione del ruolo, dei limiti, delle competenze, della struttura e della ragione sociale dei partiti e dell' associazionismo politico; 3) di ritrovare le motivazioni per conferire o restituire dignità alle prospettive di lungo termine, al nesso variabile, ma imprescindibile fra ideali e interessi, fra principi e metodi o provvedimenti della riforma sociale, alla coerenza fra cultura innovatrice e pratiche e condotte di un partito che in ogni caso ha nel suo codice genetico alcuni fra i valori elementari di libertà e di 5 solidarietà che restano irrinunciabili per una sinistra alle soglie del terzo millennio. Mi rendo conto che si tratta di tre punti difficili; tuttavia, ritengo che eluderli coinciderebbe più o meno con il suicidio o con una sorta di eutanasia. Il riferimento a termini remoti dei nostri vocabolari di moralità e politica quali riforma sociale e solidarietà, mi consente di abbozzare, in modo inevitabilmente sommario, un secondo motivo di riflessione. Proviamo a allargare il nostro quadro di riferimento. Spostiamo il fuoco dalla questione socialista nel contesto italiano alla questione socialista oggi nel contesto più ampio delle società a tradizione democratica più o meno consolidata. Qui ci troviamo di fronte a una serie di dilemmi che toccano in modo cruciale il nesso fra «socialismo» e «sinistra». La mia impressione è che, dopo il collasso di una parte del mondo e la fine di un'era geopolitica stabile (piacesse o meno) che ha caratterizzato una lunga fase del secondo dopoguerra, questi dilemmi siano propri di qualsiasi forza politica organizzata che ha fatto o faccia parte della variegata famiglia dei partiti socialisti, socialdemocratici, laburisti (compreso l'anomalo partito comunista italiano prima della conversione in Pds). In due parole: il secolo delle socialdemocrazie, in un angolo ricco del mondo, ha contribuito alla costruzione delle democrazie pluralistiche rappresentative. I partiti dei lavoratori sono stati i partiti dell'inclusione di larghissime masse di popolazione esclusa, dell'universalismo e dell'eguaglianza nell'ascrizione, nella selezione, nel riconoscimento dei diritti di cittadinanza, diritti civili, politici e sociali. Essi hanno contribuito alla conversione dello stato diritto in stato sociale (non sono stati gli unici protagonisti di questa vicenda, ma hanno certamente svolto un ruolo cruciale in questa impresa di civiltà e di solidarietà). Ora, com'è naturale, la soluzione di problemi ha come effetto collaterale quello di generare nuovi problemi. Credo che i dilemmi del riformismo e della sinistra consistano oggi nel mantenere lealtà e integrità nei confronti di questi valori non negoziabili in un mondo profondamente mutato, un mondo in cui le sfide più grandi sembrano emergere per un verso entro i confini degli stati-nazione in cui le politiche della riforma hanno operato e, per l'altro, al di là dei confini nell'arena transnazionale o internazionale, dove la scena è affollata dalle prime guerre post guerra fredda, dalle grandi migrazioni, dall'insostenibile ineguaglianza fra

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