Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 36/37 - gen.-feb. 1993

i.)!). BIANCO \XILROSSO lii•#Olil Travalorieticie urgenzereali unaleggecheservale persone N on si può non consentire con quanto veniva affermato nel messaggio della Cei per la XIV Giornata della vita (nov. 91), laddove si ricordava che «la vita umana è un bene da difendere e da promuovere sempre e da tutti». Lo stesso Consiglio permanente della Cei nel successivo novembre 1992 invitava al «rispetto della vita» che «deve essere totale e coerente». Esiste dunque una «cultura della vita»che investe di significato tutte le sue forme anche nascenti, deboli e socialmente irrilevanti, così come anima la lotta contro tutto quello che l'offusca e la misconosce, dalla criminalità, all'emarginazione, all'ingiustizia, alla violenza. L'affermazione di principio deve essere tanto chiara nella sua radicalità quanto deve tener conio della valenza sociale e morale del problema della generazione umana, essere attenta a ciò con cui si scontra sul terreno della sua applicazione. La rimozione degli ostacoli è parte integrante dell'affermazione positiva del principio. Mi sembra questo il momento opportuno per riflettere sul problema della vita e del rispetto ad essa dovuto senza gli steccali ideologici e le preoccupazioni che hanno nel passato - anche recente - condizionato il confronto e il dibattilo tra le diverse culture. Il «tramonto delle ideologie» non significa però la riduzione dell'elica a semplice procedura pragmatica né il suo asservimento al costume corrente. L'etica precede il costume con una priorità che non si può negare senza con ciò dichiarare la sua inutilità perché ridotta a funzione «notarile». Ma il terreno dell'elica resta pur sempre la prassi, l'azione concreta; dunque con la concretezza l'elica si deve misurare se vuole riempire di contenuti i suoi imperativi categorici. di Giovanni Bianchi Intendo dire che il rigorismo dell'etica chiama in causa il realismo dell'analisi, una lettura attenta di quei nodi problematici entro cui le esperienze dei mondi vitali vengono concretamente vissute. Queste sono le necessarie premesse che, a mio avviso, rendono possibile una riflessione pacata sul tema dell'aborto, sul difficile crinale Ira elica e legislazione, coscienza e contesto sociale, cultura e politica. Riflessione pacala, diciamo, rispetto al superamento degli schematismi che fatalmente conducono alle semplificazioni. Impossibili gli uni e le altre per la complessità del tema e dello stesso contesto entro cui esso va collocato. Il valore sociale della maternità è - possiamo dire - l'indicatore fondamentale della «cultura della vita», quando questa non si riduca ad astratta affermazione. I servizi messi in campo dallo Stato Sociale, le risorse garantite dall'economia, le strategie politiche complessive, il quadro normali48 vo di tutela della maternità sono gli strumenti con cui la società attesta la sua reale valorizzazione della riproduzione umana. Senza queste «risposte» la domanda di una maternità responsabile, vissuta come scelta e non come un destino, domanda che sembra oggi caratterizzare l'universo femminile più avvertilo, è destinala a restare inascoltata e disattesa. Allora la stessa soggettività femminile, venula prepotentemente alla ribalta negli ultimi decenni, può diventare solitudine e la responsabilità che inerisce al soggetto in quanto tale, rischia di ridursi al cerchio solipsistico della rinuncia a vivere l'esperienza relazionale materna, paradigma etico di ogni altra relazione umana. Il mutamento culturale che implica un rinnovato e «controcorrente» rispetto per la vita, poiché al di là delle proclamazioni verbali, domina ed è diffusa una «cultura di morie», non può non configurarsi anche come pieno coinvolgimento nella responsabilità del soggetto maschile. Mi chiedo se l'esclusiva colpevolizzazione della donna e l'atavica rimozione collettiva dell'aborto, da un lato, e, dall'altro, la sua dimensione rivendicativa nell'ambito dei diritti individuali non si possano in qualche misura ricondurre ad una stessa radice. Se tale è, occorre recuperare e superare l'«assenza»maschile in termini di responsabilità elica, concretamente agita. Il dibattito sulla «194»va condotto a partire dal riconoscimento della sua mancata applicazione, per quanto attiene alla parte positiva di prevenzione, ma va altresì inquadrato nel più ampio quadro normativo delle politiche sociali e per le famiglie. La «cultura della vita», per essere coerente, deve raccogliere una sfida complessa che va oltre la stessa questione che riguarda la regolamentazione legislativa dell'aborto.

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