Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 36/37 - gen.-feb. 1993

Sono questioni aperte alle quali i maschi arrivano in gran parte impreparati e male, poiché la critica al «patriarcato», mossa in forma e forza diverse in quasi tutto l'occidente, li ha privati della vecchia identità «virile» e dell'immagine forte e mascolina di sé. Tantoche uno scrittore sensibile e pacato come Ferdinando Camon arriva a dire in «I.:umanamalattia» «...Se è difficile oggi essere donne è impossibile essere uomini...» Il pensiero della «differenza» portato avanti in questi ultimi 20 anni dalle donne, ha consentito la rielaborazione della immagine della donna e tracciato una strada che può essere di aiuto ed esempio per i ic)JLBIANCO '-XILROS&> i 111 #§1Mil maschi di buona volontà. La strada è quella che, avendo separato la sessualità dalla riproduzione, ha portato le donne (non tutte ovviamente) a riconoscersi nella libertà di scegliere di essere o di non essere madri, e di non dover subire la maternità come destino assoluto. Gli uomini, sono ancora culturalmente prigionieri di un modello di virilità coatta che si identifica tout-court con la mascolinità = potere e forza, sessuale. Quando cercano di sottrarsi a questo modello si rifugiano nell'alcool, nella droga, nella devianza invocano una castità assoluta e innaturale, o cominciano a dire che «donna è meglio». Donna non è né meglio né peggio, è diverso, come è diverso essere uomo. Manca quel «pensiero della differenza maschile» che tanto può dare per rielaborare le identità dei maschi, e aiutarli prima a separare la sessualità dalla mascolinità, quindi a riconoscersi in ruoli liberamente scelti, a cominciare da quello paterno. Io voglio vivere in una società in cui un padre vale quanto una madre, ma perché questo avvenga è necessario che la società integri a pieno che una donna vale quanto un uomo, che la differenza dei suoi sessi non si traduce in diseguaglianza per nessuno. Lalibertàrealedellamadre unicatuteladellavitanascente - I recenti dati della relazione al Parlamento sulla legge 194 sono stati scarsamente discussi nel merito, anche se non sono mancate le usuali polemiche. A riprova, se mai ce ne fosse bisogno, che non i risultati del- - la legge sono oggetto di interesse, bensì l'aborto in sé, come scelta elica a monte della legislazione. Tanto che il cardinale Biffi, nella ricorrenza della giornata per la vita, ha denunciato con feroce sarcasmo il «bel vantaggio per le vittime di venire uccise con tutti i crismi della legalità e tutte le raffinatezze delle strutture sanitarie»; in polemica col ministro De Lorenzo, che, dati alla mano, aveva sostenuto l'efficacia preventiva della legge in presenza di una sensibile diminuizione del ricorso all'aborto (il 5,4% in meno in dieci anni). Si deve prendere atto che i termini dello scontro ideologico non sono sostanzialmente mutati: è il principio della legalizzazione dell'aborto che risulta ad alcuni intollerabile. E la questione di principio precede e prevale sulla concreta difesa delle di Grazia Zuffa vite. Non a caso non delle vite al plurale si parla, bensì della «vita», come entità astratta e sovraumana. La divisione sta ancora lì: perché altri si rifiutano di giocare l'ontologia della vita contro la materialità delle singole vite. Impossibile a tutt'oggi anche un discorso comune sulla prevenzione: mai come nel caso dell'aborto la parola sfugge ad una definizione univoca. La prevenzione consiste nella dissuasione della donna che non accetta la gravidanza, in nome di una morale che vede la procreazione come «valore» in sé, fuori dalla portata delle scelte degli uomini o delle donne? Oppure si previene esaltando la capacità di scelta della maternità, sì che le donne esercitino una maggiore padronanza sul proprio corpo e sulla propria vita? Come si vede, si tratta di approcci differenti e confliggenti: tant'è che mai fino ad oggi è stata possibile un'azione comune dei due schieramenti, pro e contro la 194, sul terreno della prevenzione, come teoricamente sarebbe possibile. Paradossalmente, 45 ma non troppo, il fatto che esista una regolamentazione dell'aborto ormai da 15anni non avvicina gli opposti fronti sul terreno della concreta tutela della maternità. Quando fin dall'inizio manca un linguaggio comune, anche i fatti parlano lingue differenti e non è il profluvio di parole inintelligibili a creare comunicazione. Recentemente Amato ha affermato di non essere contrario all'aborto, bensì alla sua liberalizzazione: alludendo non tanto alla normativa in vigore, quanto al clima culturale, a sua detta diffuso nel Paese intorno alla questione. Più chiaramente qualche anno fa lo stesso Amato, in un'intervista all'Espresso, sostenne la necessità di promuovere una riflessione etica da parte dei laici, che, a suo avviso, si sarebbero distinti per lo «stile ribaldo della non-elica». Alla base della sua critica è la dichiarata insufficienza dell'etica individuale (a fondamento della legge 194): sarebbe l'assoluta libertà della donna sancita dalla legge, a cancellare l'interesse e la libertà del nascituro. Da qui la proposta, che da più

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