Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 36/37 - gen.-feb. 1993

ne che hanno condotto la battaglia per la legge, che l'aborto sia un diritto. Ma nel momento in cui il conflitto prodotto dalla procreazione esplode nella sua forma più acuta, fino a porre il dilemma se interrompere o meno una gravidanza, a chi possono affidarsi lo stato, la collettività, se non alla responsabile capacità di scelta delle donne? La legge 194 rappresenta l'unico atto in cui la società ha riconosciuto la realtà del conflitto vissuto dalle donne. Per questo è così tenacemente difesa. Ma la legge la riconosce ancora solo in perdita; alle donne si affida una scelta limitata, la libertà di rinunciare. Dopo la legge 194è venuto ben poco altro. Non l'estensione dei consultori, non i congedi parentali, non il potenziamento dei servizi, non una reale politica per le pari opportunità, non una politica dei tempi e degli orari che attribuisse valore e riconoscimento al tempo dedicato ai propri cari (al lavoro per la «riproduzione della specie»), non la trasformazione delle norme che regolano tante carriere professionali, fatte soltanto a misura del lavoratore maschio. E c'è di peggio: questo è ancora un paese in cui alcuni datori di lavoro si possono permettere di pretendere dalle donne che cercano lavoro un impegno a non avere figli! Il problema non è affatto la legge 194e non è neppure soltanto impegnarsi in una ~J).BIANCO l.XILROSSO lit•#iilil battaglia - importantissima certo - per aiutare, diffondendo i mezzi di controllo delle nascite e la necessaria conoscenza e consapevolezza nelle coppie, la procreazione responsabile. Forse oggi non nascono in Italia figli non voluti, ma certamente non tutti i figli desiderati riescono a nascere, e certo non solo per ragioni mediche. Il problema vero, la vera difficoltà, il vero impegno stanno non solo nel garantire la libera scelta di non avere figli, ma anche nel sostenere quella di averne. È questo che viene chiesto oggi a chi governa il Paese. Il Capo del governo non può limitarsi a parlare di tutela della vita. Deve agire, costruire la solidarietà attorno alle donne, non limitarsi ad agitare periodicamente dubbi sulla loro presunta irresponsabilità. Il modo migliore per farlo è lasciare stare una legge dimostratasi buona e affrontare i nodi che la scelta di maternità pone oggi di fronte alla collettività. Questo è il vero problema aperto che la 194ci lascia, a quindici anni dalla sua approvazione. Dobbiamo alle donne ( e anche alla legge che ha fatto emergere dalla clandestinità il dramma dell'aborto) se oggi possiamo affrontare il tema del valore della scelta di maternità, se possiamo affermarne l'importanza nella vita di ogni persona e il valore per tutta la società. Non ho dubbi che sia non solo legittimo, ma anche utile, importante da parte della 41 Chiesa, difendere profeticamente la vita, affermare, di fronte a donne e soprattutto ad uomini, che a volte può essere più vitale, più giusto «perdere tempo» per mettere al mondo un figlio che impegnarsi a far carriera o a far denaro. E che ciò sia patrimonio condiviso dalla riflessione etica di moltissimi non credenti. Ma non si può non sapere allora che la società tutta è chiamata a modificarsi per tenere conto che esistono due sessi con esigenze, volontà, tempi, ritmi biologici diversi, ai quali si devono fornire pari opportunità; che gli uomini sono chi•amatia cambiare anch'essi la loro vita, il loro rapporto con il lavoro, di fronte alla scelta di procreare. La profezia insomma non può essere affidata alla libertà delle coscienze; se non vuol rimanere predicazione inerte e inefficace, non può certo essere delegala alla presunta forza dissuasiva della repressione sancita per legge. Sarebbe triste, un enorme spreco che si aggiungerebbe ai tanti che ci si ostina a provocare in questo momento di così con vulsa e confusa transizione, se, mentre cadono vecchi muri e quindi si aprono nuove possibilità di comprensione e di collaborazione, chi fa politica pensasse di usare proprio il dramma dell'aborto per costruire nuovi muri, rattoppare identità traballanti, darsi una ragione di esistenza.

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==