Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 36/37 - gen.-feb. 1993

con il rifiuto a esaminarlo per quello che è. Il fatto aborto diventa un evento metafisico e non la tragica necessità, passata silenziosa e minacciosa dentro le nostre case molto più di quanto si pensi. Si disconosce anche che la donna si è trovala quasi sempre a dover decidere da sola se e come abortire, mentre sul suo dramma calava il silenzio per omertà: tutti sapevano, nessuno ha visto. E diventa colpevole inadempienza pensare di risolvere il problema antico e diffuso dell'aborto con condanne, manifestazioni, proclamazione di principi astraiti. Così come non risolve una legge di staio. Questa è lo strumento per poter operare alla luce del sole, per fare uscire dalla clandestinità una realtà sofferta sulla pelle delle donne, ma anche nell'inconscio maschile per sedimentazione nascosta e minacciosa. Chi non ricorda della propria infanzia o non ha visto affiorare nello sguardo dei propri figli la paura ancestrale davanti alla parola aborto? Il problema esiste e va risolto non con proclami e condanne ma con una serena e razionale analisi del fenomeno e con lo studio degli strumenti adeguati alla soluzione. Durante gli anni del dibattito sull'aborto, nessuno si illudeva di risolvere il problema con una legge. Ci sembrava che quella fosse la strada per portare allo scoperto un dramma personale, vissuto per secoli in solitudine dalla donna. Apparve evidente fin dalle prime battute che attraverso la discussione era possibile far emergere valori nuovi come la partecipazione e la condivisione. La soluzione infatti non era tanto nella legge quanto in un mutamento di vecchi schemi mentali che investivano non solo la maternità ma tutto un modo di vivere con e per l'«altro» che è il figlio e di conseguenza, con e per tutti gli altri. Dalla maternità alla genilorialità - si diceva - e da questa alla partecipazione dell'intero gruppo sociale. Il figlio, infatti, «abita» non solo la madre, per il fatto che lo porta dentro, ma «abita» anche la sollecitudine del padre e dell'intero gruppo sociale chiamali insieme, genitori e società, a progettare per il figlio un futuro in cui sia possibile vivere e manifestare l'inedito che ogni figlio di uomo si porla dentro. Tutto questo ci sembrava allora più importante che discutere una legge che aveva come fine soltanto la condivisione di un problema per cercarne insieme la soluzione. .P.lt BIANCO il._ltROSSO l 111 #i 1iil «Non da sola»: così si intitolarono i vari progetti per mettere in atto tutta una serie di servizi e informazioni in appoggio alla maternità per superare la solitudine della donna e coinvolgere le istituzioni. E, all'indomani della campagna referendaria, come risposta alle sterili e spesso isteriche contrapposizioni che la segnarono, sembrò opportuno alle donne comuniste che avevano sostenuto la legge, camminare in avanti promuovendo un incontro fra gli operatori dei consultori sul tema: «Maternità anni '80: nascita come partecipazione». Superando le contrapposizioni, nella speranza di trovare un terreno operativo comune, si volle affermare che ogni bambino che chiede di nascere o che è già nato, è affare nostro - l'I care di Don Milani - nei suoi confronti ogni uomo che si incontra con lui è chiamato ad assumersi la re- .i.,,r•;•-· ..... · '<.. ,, ./.?-, ...~/ç: .._ '1.:r,' ,\ _i! .· i ,,, .. ';· ··f~t ;.:. . . 38 sponsabilità di un inedito, portatore di novità per tutti. I figli non sono nostri, è vero, ma è vero anche che ogni figlio di uomo è anche figlio nostro. Egli chiede che il futuro dell'uomo sia progettato per lui, chiede che si «faccia»politica pensando allo spazio di vita e di ampio respiro di cui lui ha bisogno. Progettare la politica a partire dai più piccoli può essere un efficace slogan propagandistico, ma diventa necessario e ineludibile impegno per chi voglia veramente cambiare. Finora la politica è stata progettala a partire dall'interesse degli adulti e si è attuata come ricerca di soluzione per l'emergente, perdendo di vista il perché e il fine delle scelte. È giunto il tempo di misurarsi con i bisogni dei bambini che hanno bisogno di progettualità che si realizzi nel quotidiano per creare spazi e servizi, ma ancora di più hanno bisogno di prospettive a lungo termine. A partire dalla legge, questo era il cambiamento che volevamo, che vogliamo. Il resto - condanne, proclami, obiezioni di coscienza - non solo non risolvono, ma eludono il problema dell'aborto. Che significato ha proclamare astrattamente la sacralità della vita se non la si difende concretamente condividendo il dramma della donna e cercando insieme il modo di uscirne? Che senso ha condannare, se non quello di alzare steccati a difesa della propria presunta non colpevolezza e in zona separala coniarsi per poter contare? Nell'accresciuta consapevolezza di quanta parie di responsabilità compete a ciascuno, sarebbe grave inadempienza lasciarsi intrappolare da un'ennesima battaglia sulla 194. Se per il funzionamento della legge qualcosa va corretto, lo si faccia senza scatenare contrapposizioni sterili. Ma soprattutto si mettano in allo - in misura maggiore e in modo più adeguato - tutti gli strumenti che rendono agibile la condivisione di un problema e la sua soluzione. E, infine e soprattutto, si dia fiducia alle donne, anche perché, in ultima analisi, la scelta compete a loro, oggi come ieri, e non saranno le grida di condanna, oggi come ieri, a farle desistere dalla scelta. Difatto, oggi più di ieri, la scelta della procreazione, con la nuova pillola, contro la quale ogni battaglia è destinala, prima o poi, a essere perduta, sarà sempre più affidataalla coscienza della donna e, vivaddio, dell'uomo. Alla Chiesa non resterà che fidarsi di loro.

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