Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 36/37 - gen.-feb. 1993

trebbe essere il momento di una chiarificazione, e non tanto di una rivendicazione, della propria esistenza; per il legislatore, infine, potrebbe essere la ridefinizione della legge a partire dalla realtà storicoculturale, in una prospettiva di miglioramento e di incidenza educativa. Quinzio, nel suo articolo sul Corriere della Sera del 28 dicembre, afferma che parlare di sacralità della vita significa dare alla vita un valore che laico non è, e si chiede dove poter trovare il terreno d'incontro tra chi accetta la sacralità e chi non la può riconoscere. Sia permesso affermare che forse il problema andrebbe posto in altri termini: non si tratta tanto di definire ontologicamente la vita come sacralità, quanto di riconoscerne il valore in sé dal punto di vista strettamente antropologico, o non avrebbero senso le battaglie in difesa della vita, e della sua dignità, non solo per quanto riguarda l'aborto, ma per ogni questione che veda in primo piano la distruzione della vita, sia essa la guerra, l'omicidio, l'eutanasia, la fame, la pena di morte, la droga, la violenza. Il rischio di usare due pesi e due misure a seconda del terreno di scontro è troppo alto per non cercare di risolvere il conflitto in termini accettabili da tutti. E se può apparire uto- ,{)Jt BIANCO lXltROSSO liX•#Olil pico parlare di bellezza della vita e di realtà assoluta della stessa, quindi non solo di potenzialità, di fatto il problema sta proprio nella rivalutazione positiva (e mi permetto di aggiungere gioiosa) della vita. E questo è terreno condivisibile per credenti e non, anche nell'assunzione primaria non solo del diritto alla vita, ma soprattutto dei doveri nei confronti della vita nel suo appello incessante che è voce e volto non di fantasmi ma di persone, e il dovere qui non è tanto quello legislativo o etico quanto la risposta all'appello. Certo la vita nascente sembra non avere voce e volto, ma esiste nella carne ed esistere nella carne non è un'opzione scientifica o linguistica, è già essere voce e volto, cui si deve rispondere. Solo da questo riconoscimento si può imbastire un dialogo sul problema dello scontro tra il diritto all'autodeterminazione della donna e diritto del nascituro. Non si tratta di tornare alla maternità quale strumentalità o violenza imposta, né di pensare ideologicamente nei termini di autodeterminazione assoluta o di assoluta subordinazione. Si tratta piuttosto di rivalutare la maternità, e la paternità inscindibilmente legata ad essa, non come possesso di sé o dell'altro quanto quale relazione di libertà all'interno della quale nessuna prevaricazione è ammessa. Questo significa difendere la maternità stessa dal rischio di essere solo mezzo, ma anche dal farne valore solo per le donne, quasi che non possa essere dimensione feconda per tutti e quindi valore da proteggere e condividere da tutti. Se è necessario evitare condanne precostituite, la violenza stessa dell'aborto ferisce comunque le donne, occorre comunque pensare seriamente a una difesa della maternità che non sia l'oltraggio consumistico della pubblicità, né la riduzione dell'aborto a metodo contraccettivo tra gli altri. Questo significa rivedere la legislazione in materia, e la sua eventuale applicazione, perché difetto non da poco è l'assoluta latitanza di una regola di difesa della maternità a fianco della difesa del nascituro. Forse non si potrà avere la legge perfetta, sicuramente si dovrà lavorare per avere la migliore legge possibile e per la sua applicazione, legge che non sia solo normativa, ma che divenga possibilità educativa. Tenuto conto del fatto che comunque, in questo caso, lo scontro tra verità della coscienza e legge dello stato ci sarà, e del resto è inutile nascondersi che questo è il paradosso stesso del conflitto cui il dibattito sull'aborto dà voce. Condivideree responsabilizzare oltrele opposte vanecrociate a sempre le campagne an- D tiabortiste sono un'inutile perdita di tempo, un colpevole spreco di energie. Spesso servono alla carriera politica di un leader che, non avendo contenuti in positivo,ripiega sulla contrapposizione, sulla costruzione di un nemico del quale ha bisogno per la propria sopravvivenza politica.Quasi sempre queste campagne handi Vilma Occhipinti no come fine di dirottare l'attenzione dell'opinione pubblica da problemi reali di difficile soluzione all'immaginario più inquietante e irrazionale. Non è un caso che irrompano sulla scena politica soprattutto in quei paesi attraversati da crisi di identità e alla ricerca di nuovi modelli culturali e di più adeguati strumenti politici: ultimamente Polonia e Stati Uniti, oggi di nuovo in Italia con l'intervento anche di un presidente del Consiglio socialista troppo in37 teressato al depistamento dell'attenzione. Quando emerge l'incapacità a «governare» la crisi, la precarietà vissuta e il rischio del cambiamento temuto fanno emergere nel singolo e nella collettività l'esigenza di difendere lo spazio della sicurezza primordiale, l'utero materno, luogo della rassicurante prenatalità che consola del presente inquietante. Il Paese viene così attraversato da un grido irrazionale con nessuna aderenza al problema concreto dell'aborto e

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