Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 36/37 - gen.-feb. 1993

pendenza, al vincolo con la specie. Dall'altra, le radicali trasformazioni economiche e civili hanno mutato profondamente, malgrado le ideologie della separazione fra pubblico e privato, le condizioni materiali e culturali della maternità, entro un processo cui la donna ha certo anche passivamente partecipato, attraverso strategie di difesa e di adattamento, ma senza poter intervenire sui mutamenti, senza riuscire a farli divenire centrali nel progetto collettivo. Ciò spiega la battaglia delle donne per l'autodeterminazione, come affermazione .{)J), BIANCO lXILROS.SO lh•#Oiil della responsabilità diretta femminile, come ricomposizione fra natura, libertà eragione nel vissuto delle donne. Una volta posto, il principio della autodeterminazione, in quanto assunzione umana e responsabile del progetto materno, è incontrovertibile. La sua debolezza sta nella pretesa di valere, applicarsi al già determinato, al già avvenuto (mentre rischia di sostenere la libertà della donna solo sul versante negativo). Oltre a mettere in gioco la questione etica della vita del non nato, ciò mette in gioco la stessa concezione della razionalità che le donne intendono assumere, una razionalità nuova, carica di senso e coscienza del limite, una razionalità rispettosa del reale, che non sia nel segno•del dominio, e della idea, maschile, del rapporto di generazione come fatto esterno al proprio corpo. E, tuttavia, è proprio la necessità di liberarci dagli errori della storia passata della maternità a dirci che la critica a questa estensione del principio di autodeterminazione non può venire che dalle donne, e non può venire che insieme alla assunzione collettiva delle condizioni della maternità come parametro essenziale. Travalorei coscienza ripensaruencamminpoertutti A borto: argomento di discussione o prima ancora interrogazione delle coscienze? Credo che il nocciolo della questione stia nel ripartire da una serie di domande che aprano ad un conflitto della coscienza con se stessa per approdare infine, se non a una soluzione del conflitto sociale sull'argomento, almeno ad una chiarificazione dei valori in causa. E che si tratti di valori prima ancora che di diritti risulta chiaro dalla stessa acrimonia del dibattito, sopito ma non esaurito. Parlare di valori significa rischiare lo scontro ideologico sulle verità, scontro che nei fatti scivola sul piano dei diritti, quasi dimenticando che i diritti stessi non possono avere un fondamento assiologico, pena il loro dissolvimento. Certo tornare al fondamento assiologico significa recuperare il peso veritativo dei valori, con tutto il dramma che comporta il dissolvimento dell'etica nel mondo contemporaneo, tanto che il valore della vita diviene pietra di scandalo dello scontro tra etica laica ed etica cattolica, tra di Marica Mereghetti diritto all'autodeterminazione della donna e diritto del nascituro, tra legge dello stato e verità della coscienza. In questa prospettiva il dibattito ripreso da Amato ha una forte valenza positiva per il fattostesso di riportare il problema aborto all'interno dell'alveo dell'etica, senza operare lo smottamento automatico sul piano dello scontro ideologico, che resta come rischio nel momento in cui la condanna o la difesa della 194 si pongono quali posizioni precostituite e legittimate dalla pretesa di una verità disincarnata e perciò stesso faziosa, né feconda né aperta alla possibilità della domanda. Il retroterra storicoculturale della 194è stato, di fatto, il terreno di scontro di ideologie contrapposte, terreno sul quale era dato avere un solo vincitore, ma occorre porsi almeno il dubbio, oggi, se quello scontro sia riproponibile negli stessi termini, o se, piuttosto, non si debba ripartire dalla concretezza storica del dissolvimento delle ideologie, e dell'annichilimento della verità, e viene alla mente che l'annichilimento della verità in fondo non è che il frantumarsi della persona nel 36 suo stesso essere volto e verità insieme. Allora quali vie di soluzione possibile al conflitto se la posta in gioco non è tanto il diritto della legge sull'aborto quanto il senso stesso della vita come valore? E ancora quale senso dare al preteso scontro tra etica laica e etica cattolica? Ma più in profondità esiste un'unica e distinta etica laica o siamo di fronte ad una confusione assoluta per cui la domanda dovrebbe essere altra, e cioè può la vita essere terreno di diverse concezioni eliche che giocano nell'attribuire peso diverso all'assolutezza incarnala della vita stessa? Riproporre il valore della vita, o, meglio ancora, la vita come valore che si dà in sé dovrebbe essere il punto di partenza della discussione, nella consapevolezza di non poter giustificare la propria posizione quale verità calata dall'alto, ma di dover argomentare le proprie ragioni, fidando nella possibilità di una soluzione che non si sclerotizzi su se stessa. Per i cattolici significherebbe non chiudersi sull'anatema sit; per i laici sarebbe l'apertura al dubbio sull'unicità delle proprie verità; per le donne po-

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