Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 36/37 - gen.-feb. 1993

cendo valere queste esigenze (al contrario di quanto si è tentato di fare con la sanità) nel ridisegno dello Stato sociale in forme adeguate alla attuale situazione. Penso, in particolare, al tema del superamento della scala mobile (quella scala mobile di cui sono stati sempre esclusi gli assegni familiari, aggravando la penalizzazione della maternità), e la necessità di nuove, sia pure altre, forme di protezione dell'inflazione, che tengano conto dei carichi di famiglia. Penso al governo drammatico della disoccupazione che da una parte mette in campo, e giustamente, ammortizzatori sociali per categorie forti, come la cassa integrazione, ma non sa prevedere forme positive che garantiscano una ragionevole flessibilità e articolazione temporale del lavoro femminile, e che perciò da una parte aggrava il rischio di povertà femminile e dall'altra ignora la disponibilità femminile a interruzioni garantite, in caso di maternità. La ripresa e sviluppo di una politica di servizi all'infanzia e alla maternità - asili nido, consultori, assistenza domiciliare - è certo da ripensare nel riparto dei suoi costi economici ma non può essere cancellata dall'orizzonte di una società moderna, e va vista come un punto chiave non solo del sostegno organizzativo e della liberazione del tempo femminile, uno strumento essenziale della conciliazione fra lavoro e maternità, ma anche un luogo strategico per il superamento dell'isolamento sociale e culturale della esperienza materna. Si tratta forse della questione strategicamente più rilevante. Se grave è la penalizzazione economica della maternità moderna, assai più drammatico oggi è l'isolamento della maternità, in un mondo che ha visto la crescita esponenziale dei processi di socializzazione. Al carattere collettivo e condiviso che la maternità comunque conosceva nella grande famiglia patriarcale e nei rapporti di vicinato si è sostituita la solitudine, spesso anche dal partner, della madre urbana, talora immigrata in una città ignota, priva di referenti familiari, o improvvisamente tagliata fuori da quelli amicali, proprio in ragione della maternità, una solitudine, che è anche assenza di sostituii materni. Sono convinta che la forma prima del riconoscimento della maternità come valore sociale e fatto collettivo stia oggi nella costruzione di reti di sostegno reciproco, di geslioic)Jl, BIANCO l.XILR~ ih•#Olil ne collegiale dei servizi e della scuola, di informazione sistematica, di crescila culturale che abbiano in primo luogo come protagoniste le donne, ma non solo le donne, anche i padri, perché senza questo sono proprio i parametri culturali della maternità che non possono cambiare. Il superamento della solitudine si lega al secondo passaggio di una scelta di prevenzione reale, sulla quale è ormai possibile costruire convergenze. Esso sta in una opzione netta per una politica di formazione e informazione sulle tecniche contraccettive, di crescita di culture, di sviluppo della ricerca sulla sessualità e la riproduzione, rispondendo alle domande sempre più vivaci su questo terreno che vengono dalla scuola e dalla società civile, con un impegno pubblico forte in termini di strutture, di finanziamenti, di formazione di professionalità adeguate, che consentano la messa a punto di progetti culturali e di ricerca coerenti col pluralismo contemporaneo; e che investa soprattutto le aree, come il Mezzogiorno, dove l'iniziativa politica locale in tema di Consultori è stata carente, distratta, o ipocrita. Qualsiasi cosa si pensi sulla legittimità di una azione più diretta, e io non sono ostile ad essa in linea di principio, solo in questo quadro, e dopo iniziative politiche che vadano in tale direzione, si può aprire una discussione seria e un dibattito adeguato, che abbia qualche possibilità di convincere. Nessuno può seriamente pensare a un intervento pubblico di dissuasione affidalo a commandos garibaldini, in un contesto di drammatizzazione ulteriore e di provocazione delle diverse sensibilità, che rischierebbe solo di risospingere le donne verso la clandestinità. La presentazione di ipotesi alternative, rispettosa, libera e tale da non scoraggiare il ricorso alla struttura pubblica, può avvenire solo se si intreccia con quanto denuncialo tante volte da parte femminile, sullo stato e i compili riconosciuti a tali strutture, Consultori e altro: la solitudine delle donne, in un crescente andazzo di banalizzazione, burocratizzazione, sanitarizzazione, fra difficoltà materiali e inevitabili sciatterie psicologiche, dove l'indebolimento di un compito generale, socialmente strategico ai fini dello sviluppo delle singole personalità e delle relazioni interpersonali, si lega alla povertà dei finanziamenti e al mancato sostegno a 35 professionalità adeguate ad un tale delicatissimo compilo. Nessuno può pensare di aggiungere alla esperienza già drammatica e soffertadelle donne implicate in una scelta abortista una sofferenza in più. Se l'obiettivo è di offrire una sponda che possa anche favorire un approccio diverso, è tutta la gestione della politica della maternità e dell'infanzia che va rimessa in gioco, non tanto, certamente non solo, le forme della applicazione della 194. Come si vede non ho avanzato proposte di modifica a una legge che pure non amo, perché in realtà, e prima, è in questione altro. Al limite ciò che è mancato allora alla classe politica, e che invece non è mancato al dibattito fra le donne, è stato un'assunzione corretta e consapevole del problema della maternità, oggi, fuori delle superficiali demonizzazioni del costume e dell'elica femminile. La questione dell'aborto, sotto la forma dell'autodeterminazione della donna, ha assunto di fatto un rilievo centrale nella definizione della natura del conflitto fra i sessi che la nuova soggettività femminile è chiamala ad affrontare, a rendere sempre di più questione politica, a governare. Alla base di questa rilevanza c'è una verità storica e esistenziale: è sulla capacità femminile di generare che questo conflitto si è aperto all'origine della storia, fra lo stupore, la paura, il desiderio di rivalsa maschile. Ne è maturala, all'origine della civiltà, quella sconfitta storica femminile per cui da una parte la maternità diviene ragione della esclusione delle donne dalla partecipazione alle decisioni collettive, alla elaborazione culturale, al diritto alla parola e, dall'altra, il controllo sociale esercitato su di essa è un controllo prevalentemente maschile, teso ad affermare la titolarità maschile sulle nuove generazioni attraverso la genealogia paterna, fino al monopolio, con Arislotile della onnipotenza generativa. Ma la distorsione così operata fra natura femminile e razionalità e creatività umana è andata esasperandosi nel contesto delle culture moderne. Da una parte, sul piano teorico, l'attribuzione all'uomo di un potere e di un ruolo di dominatore e trasformatore della natura, di individuo che è legge a sé stesso, è convissuta con una concettualizzazione opposta del rapporto donna natura, legato invece alla immutabilitàe di-

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