Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 36/37 - gen.-feb. 1993

dere il certificato che l'autorizzi ad interrompere la gravidanza, e che dovrebbero essere tenuti a disposizione del Tribunale dei Minori, quell'atroce autopsia del feto per verificare se fosse davvero malformato (nei casi di aborto oltre i primi 90 giorni di gravidanza), quel delirante «reato di pubblica istigazione all'aborto» che Casini vorrebbe immettere nella legge, come se da tutti i teleschermi d'Italia in questi quindici anni non si fosse fatto altro che inneggiare all'aborto volontario! E qui veniamo al punto: se l'aborto oggi in Italia appartiene, legalmente, all'autodeterminazione della donna (almeno nei primi tre mesi della gravidanza), questo non significa affatto che si tratti di una scelta felice. Mi ha colpito una frase di una ragazza francese, intervistata in tv sulla sua interruzione di gravidanza, per cui aveva scelto di usare la pillola Ru486: «Anche se ,i).li, BIANCO lXILROS&) l•U#Oiil è meno traumatica, resta sempre una interruzione di gravidanza». La ragazza non si nascondeva il fatto, non rimuoveva la realtà, e la gravità responsabile della sua scelta, soltanto perché l'intervento, nel caso della Ru486, è, per così dire, «ridotto» all'ingestione di due pillole entro 48 ore. In Italia questa pillola - non in commercio - è demonizzata perchè, si sostiene, darebbe il via all'aborto facile, banalizzato, diffuso. In una parola: irresponsabile. Ma non è seminando di trappole (ulteriori) la strada tracciata dalla 194, che si aiuta la donna ad accrescere il proprio sentimento di responsabilità, verso quella vita che la natura, e, per i credenti, Dio stesso, le ha affidato in tutela. È soltanto rafforzando la capacità di una donna di «autodeterminarsi» dandole la possibilità, innanzitutto, di conoscere ed usare la contraccezione che gli aborti si ridurrano al minimo. (Ed in Italia si sono già ridotti del 30%, dal 1983 al 1991, nonostante che l'informazione contraccettiva sia ancora insufficiente, tanto che il 70% delle donne che hanno abortito nel '91, hanno dichiarato che la loro gravidanza indesiderata era il frutto dell'uso di un metodo contraccettivo inadeguato). «Lotta arretrata in un paese arretrato»: così definivamo, agli albori degli Anni Settanta, noi «femministe storiche», la battaglia per ottenere la legalizzazione dell'aborto. E l'aborto è, continua ad essere, un segno di arretratezza, inadeguatezza (sociale, personale, politica), fallimento. Perciò l'autodeterminazione della donna acquisterà il suo senso pieno, armonioso, quando la maternità potrà diventare veramente una scelta d'amore per sé, per il compagno, per il figlio. Rafforzarela prevenzionep raiutare le donneadevitarel'aborto - n un paese con la cultura delle ri- i forme rivedere una legge dopo 15 anni dalla sua emanazione dovrebbe essere una prassi normale. Riflessioni serie e serene dovrebbero esserne sempre il presupposto, ed in - maniera particolare quando si tratta di materie come l'aborto, che coinvolgono profondamente la sfera personale umana, morale oltre che civile della donna e dell'uomo. Il dibattito seguito alle dichiarazioni del Presidente Amato, anche se con toni più pacati, la temere il rischio di riaprire uno scontro ideologico per arrivare alla definizione di vincitori e vinti, distruttiva soprattutto in una situazione politicoparlamentare così precaria come l'attuale. Il movimento per la vita vede, come di Anna Carli aspetto più drammatico della relazione presentata dal Ministro della Sanità sulla L. 194, il fatto che a ricadere nell'aborto sono essenzialmente le donne che abitano nelle regioni a più alta densità dei consultori. Affrontato solo come dato numerico di quella realtà questo è un elemento che potrebbe portare alla conclusione che la legge ha fallito proprio nei suoi obiettivi di prevenzione. Prima però di arrivare a queste conclusioni sarebbe bene considerare che gli aborti sono comunque in costante calo, e sarebbe opportuno interrogarsi se nelle altre regioni c'è stato minor ricorso all'aborto o se esso - proprio in assenza dei sostegni previsti dalla L. 194 - avviene ancora fuori dalle strutture pubbliche e sempre in condizioni di alto rischio sanitario e di grande solitudine della donna. 30 Comunque l'orientamento rispetto alla L. 194 non può esse're riportalo indietro tornando a proibire; occorre sostenere con più serietà e incisività gli aspetti di prevenzione, accentuandone semmai in tal senso l'intenzionalità. I.:irrigidimenlo nelle proibizioni non moralizza i comportamenti, quindi allontana dall'obiettivo, soprattutto se non si accompagna ad una pluralità di interventi sociali a favore della maternità, e ad una maggiore disponibilità umanaverso la donna che affronta un'esperienza così significativa, ma difficile. Esistono·ancora situazioni nelle quali la donna - spesso sospinta a questo anche dal proprio partner - ricorre all'abortocome pratica contraccettiva, sottoponendosi spesso ad una violenza verso se stessa della quale non sempre coglie le conseguen-

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==