tortuosamente autoritaria (e le due cose possono, ahimé, andare anche insieme) del processo di riproduzione della specie. Quale può essere allora il significato di una revisione della 194 in senso restrittivo? Di rassicurare il personale «obiettore»? Digarantire ai medici (e non solo) senza scrupoli una lucrosa attività illegale, ma difficile da reprimere? O, se si vuole essere più benevoli, di far capire alla gente che vi sono tecniche svariate per la contraccezione, cui ricorrere se non si desidera concepire un figlio? Prendiamo pure l'ultima motivazione.Ma chi usa l'intervento che la legge consente, come sostituto di pratiche contraccettive, _{)_lJ, BIANCO lXltR()S&) lh•#Olil non ricorrerebbe al serv!Zlo illegale se quello legalizzato gli venisse sottratto? Una legge può far molte cose, ma non cambiare il giudizio morale delle persone. Tanto meno può farlo in una situazione degradata come quella italiana. E sarebbe un errore sia per il legislatore sia per l'amministrazione, il pensare (indipendentemente dal «da che pulpito») che non siano capaci di giudizi e valutazioni morali quelle donne, anche le più giovani, che scelgono di rinunciare a un figlio: dietro un aborto - dietro la gran parte degli aborti, credo - vi sono soffertiprocessi di decisione, tormenta te valutazioni. Il costo che quella scelta comporta, non è certo soltanto un costo economico. L:ansiadi vietare è, del resto, sovente un indicatore inquietante della delegittimazione del potere in carica. Né per altro verso, e laicamente, ci si deve stupire che, nelle presenti circostanze, il capo del Governo cerchi di acquisire la benevolenza di opinion-makers molto significativi ed influenti. 1Schelling scrive il suo saggio nel 1967. Al momento dell'ultima edizione (nella raccolta choice and consequance, Harvard University Press, 1984), l'aborto era stato depenalizzato, e Schelling aggiunse una postilla in cui dice: «iltema qui esemplificato ancora non è stato compreso, sebbene molti di noi sperino che l'aborto non ritornerà mai ad essere incluso tra le attività criminali». Oltrela strumentalditiàcrociata: autodeterminazione la natura, e per i credenti è Dio stesso, che mette la vita nascente in tutela della madre, e con questa realtà tutti, anche i legislatori, devono fare i conti». Come dir meglio una verità che pure, paradossalmente, tanti continuano a fingere di non vedere? Che è stata rinnegata storicamente, negli anni in cui in Italia l'aborto era un reato (fino al 22maggio 1978, ricordiamolo), o quando ancora erano i medici a decidere, in un parto difficile, Ira la salvezza della madre e quella del bambino, e i medici cattolici avevano l'obbligo «morale» di salvare il bambino saerificando la madre? Parto dunque da quella constatazione, (che leggo nella traccia di discussione sull'aborto inviatami da Il Bianco e il Rosso), per fare, brevemente, la storia di una parola - autodeterminazione - troppo carica, forse,di ideologia femminista, per non di Adele Cambria risultare antipatica a chi, magari in buona fede, del femminismo ha sempre diffidato (per ragioni obiettive, la scarsa e distorta informazione, e soggettive, una ostinala resistenza interiore), ed oggi, e sono in tanti, ha in sospetto ogni ideologia. (Ma anche di questa nuova ripugnanza un giorno bisognerà arrivare a discutere: se qualcuno fa una lettura coerente e disinteressata della realtà, se Cristo dice «Èpiù facile che un cammello passi per la cruna di un ago piuttosto che un ricco entri nel regno dei cieli», se le donne dicono che lo stupro, da chiunque compiuto, marito o soldato nemico, è un atto di guerra, e non l'espressione della passione amorosa, non si tratta, forse, di salutare «ideologia»?). Comunque: sostituiamo pure la parola antipatica, cerio troppo «sloganizzata» in questi anni con un'altra espressione: responsabilità della donna. Nel cui ambito io comprenderei anche la scelta di Carla Levati Ardenghi, che ha accettato, rifiutando le cure, di morire di cancro per dare la 29 vita a suo figlio. Una morte, la sua, pienamente, drammaticamente, «responsabile», (almeno se la guardiamo con occhi laici), nel senso che la giovane Carla si è assunta, scegliendo di morire per far nascere il suo secondo figlio, Stefano, la terribile responsabilità di privare l'altro figlio, Riccardo, un bambino di dieci anni, delle cure materne. So bene che nell'ottica della fede religiosa, di cui Carla, raccontano, era serenamente permeata, c'è un fattore incalcolabile per chi non crede: l'abbandono, la fiducia nella divina provvidenza, la speranza di proteggere da un misterioso, luminoso «altrove», la vita dei figli. Ma penso che anche ai credenti (a quelli veri) abbia fatto orrore la strumentalizzazione immediata della scelta di Carla. Il giorno dopo i suoi funerali, l'on. Carlo Casini, leader del movimento per la vita, ha publicizzato infatti una proposta di modifica della legge 194che definirei di natura «poliziesca»: quei verbali richiesti al medico a cui la donna si rivolge per richie-
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==