Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 36/37 - gen.-feb. 1993

1.)JL BIANCO lXILROS&> ih•#iiiil Ri-criminalizzare l'aborto servea niente,e a nessuno p arlare di aborto mi costa. Sono stata tentata - di fronte all'invito de Il Bianco & il Rosso - di ritirarmi in buon ordine, con la scusa del «non sono competente» (ossia: non sono un medico, né un biologo, né uno studioso di elica, ecc.). Ma sarebbe stata una fuga. Il tema, l'eventuale revisione della legge 194, continuamente riproposto dalla Chiesa, è di tanto in tanto risollevato anche da laici Ira cui l'attuale Presidente del Consiglio. Ogni volta che questo avviene, seguono vivacissime reazioni in cui giudizi di merito si mescolano a posizioni di principio e a proclamazioni ideologiche. Ma le reazioni non sembrano coinvolgere il pubblico, e soprattutto la sua parie più direttamente interessala (le donne), che evidentemente collocano il tema Ira i molti su cui si giocano confronti nebulosi tra poteri: lo Stato, la Chiesa, i Partili, ecc. Del resto, queste vampate di attenzione non hanno in passato dato luogo a risultali concreti. La legge 194 resiste da 15 anni: «lasciamoli parlare». Anche questa volta è staio Giuliano Amalo a risollevare la questione. Ed eccoci qui. Dico intanto il mio personale punto di vista, da incompetente. Ed è semplice, probabilmente simile a quello di moltissime altre persone. Credo che l'aborto rappresenti la soppressione di una vita, e quindi lo considero altamente stigmatizzabile da un punto di vista morale. Non credo che debba essere considerato un delitto, cioè che debba essere punito per legge, e non lo credo perché la decisione di procreare un figlio è decisione le cui conseguenze ricadono soprattutto sui genitori, ed in particolare sulla madre. È decisione privala. Avrei bisogno, penso, di strumenti più di Ada Becchi Collidà sofisticali per entrare nel merito del rapporto che lega la madre al concepito, e del processo doloroso, oltre che complesso, che può indurla a rinunciare a un figlio. Non li ho. Evidentemente, mentre ritengo civile che si adottino procedure adatte ad evitare la fecondazione indesiderata, considero raccapricciante che l'aborto sia usalo come tecnica di limitazione delle nascile. Ma nello stesso tempo non riesco a nascondermi che tanta parte del mondo alle «procedure adatte» non può accedere, per ignoranza, per ragioni economiche, per il sussistere di divieti. Meglio tornare alla questione della legittimità di un'interferenza dello Stato in una materia come questa. Come dice Thomas Schelling in un suo celebre saggio sull'impresa criminale (scritto all'epoca in cui l'aborto era vietato in 50 stati Usa), «imali collegali all'aborto sono molto difficili da valutare, soprattutto perché è un privilegio del singolo stabilire il valore morale da assegnare al servizio. Il disgusto, l'ansia, l'umiliazione, ed il danno fisico cui sono esposte le clienti del «procuratore di aborti», sono una parie del «costo nello» per la società, o vanno considerale in modo positivo come una punizione per dei delinquenti? Ad una donna che si è procurata un aborto, vogliamo far pagare costi elevali o modesti? Il prezzo da mercato nero dell'aborto è un costo per la società, una giusta sanzione per la donna, o uno spreco?» 1 . Questi interrogativi colpiscono nel segno. Porre l'aborto nell'illegalità significa far pagare alle donne (che sono anch'esse, non solo il nascituro, delle vittime - sebbene con l'aborto si assumano una terribile responsabilità sul piano morale, anzi anche per questo motivo) costi molto elevali che configurano anche un costo per la società, e significa criminalizzare un'attività che comunque avrà luogo perché vi è una 28 domanda per il servizio. Rendere l'aborto legale, regolarlo, può tuttavia voler dire fa. vorire il suo uso come strumento di limitazione delle nascile. I dati di cui si dispone per valutare quali siano i risultati dell'esperienza della regolazione dell'aborto in Italia, non sono, da quest'ultimo punto di vista, istruttivi: non mettono in grado - mi pare - di capire se l'aborto legalizzato sia staio utilizzalo a quel fine. Inoltre, nulla si sa degli aborti illegali, sebbene tutti ipotizzino che ve ne sono ancora. Né si sa delle ragioni per cui il numero di aborti registrali è decrescente: la diffusione delle pratiche contraccettive, il ritorno all'aborto illegale, o altro? Si sa, invece, dell'uso che il personale medico e paramedico fa dell'obiezione di coscienza, e questo dato lascia perplessi: quella stessa «classemedica» che non si cura di far funzionare decentemente le strutture sanitarie, evidentemente scopre in quest'occasione il valore della vita. D'altra parie, è tipico di uno staio semiconfessionale di riconoscere un «diritto limitalo» all'aborto, ma di ritenere il proprio personale esentato dal rispettare quel diritto in base a elementi soggettivi. Il fatto che gli italiani tendono ad avere sempre meno figli, non ha molto a che fare con l'aborto, ma è il segnale di una paura del futuro e forse di una non accettazione del presente, che sono ricollegabili all'eclissi, in questa fase, di un qualsiasi «progetto collettivo». Se si ricorre all'abortocome sostituto della contraccezione, tra ledue cose può esservi un nesso, ma non è cerio ricollocando l'aborto nell'illegalità che si riuscirà a indurre una maggior propensione alla fertilità. Immaginare che una revisione della legge 194, possa essere il punto d'appoggio di un'inversione dei trend demografici, vuol dire avere una concezione o irrazionalmente provvidenzialisticao

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==