Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 36/37 - gen.-feb. 1993

ic).tlBIANCO '-XltROS.SO •..• ,,,. tempo si discute dell'appannarsi del valore attribuito al lavoro. Non a torto si descrive il declino della mitologia del lavoro produttivo, tipica della tradizione ottocentesca. Sono sicuramente cambiate la cultura del lavoro, l'etica del lavoro, il rapporto dell'uomo con il lavoro. Tuttavia il lavoro resta una fonte di identità per le persone ed un principio di definizione del loro ruolo sociale di insuperabile rilievo. Continuiamo ad «essere» anche in rapporto a ciò che «facciamo». La ricerca di un lavoro regolare caratterizza le attese di centinaia di migliaia di cittadini, perché la cittadinanza senza quell'elemento risulta sminuita, mutilata. C'è dunque qualcosa che non funziona (e che il socialismo non può accettare acriticamente) in una società che tollera ormai tre milioni di disoccupati. La disoccupazione è un gravissimo trauma. Perchè comporta la perdita di identità personale, familiare, sociale. Perché determina una esclusione, offusca i legami di appartenenza, apre la strada alla disgregazione ed alla disarticolazione sociale. Lo Stato sociale. Mentre diventano più determinati per la qualità del vivere i servizi, il salario indiretto, il tipo di ambiente sociale, lo «Stato sociale», grande ed incompiuta conquista del socialismo democratico, viene messo in discussione per il costo che produce: deficit, inflazione, crescente peso fiscale.Ma in discussione anche per la sua scarsa efficienza. Per la sua burocratizzazione. Per difenderlo bisogna perciò ripensarlo e riorganizzarlo. Non solo con riferimento alle compatibilità macroeconomiche, ma soprattutto alla sua struttura qualitativa. Non bisogna dimenticare che lo Stato sociale nasce come espressione dei valori di mutualità e di solidarietà di cui avrebbe voluto essere, per molti aspetti, la realiz1 zazione più compiuta ed universale. È però un incontestabile dato di fatto che questa universalizzazione della solidarietà attraverso lo Stato sociale ha comportato, accanto ad una crescita quantitativa delle prestazioni (almeno fino a qualche anno fa) anche un impoverimento della sua qualità umana, una riduzione del suo spessore solidaristico. Fino al punto che la «burocrazia del benessere» si presenta al cittadino come una realtà estranea e spesso ostile. Proprio come gli altri apparati dello Stato. Che lavoratori e forze riformiste in Europa abbiano saputo tradurre alcune fondamentali rivendicazioni economiche è perciò un progresso al quale non si 25 dovrebbe rinunciare. Ma che queste strutture, anche in relazione ai loro costi producano un trattamento insoddisfacente per le persone, è un problema che non può essere eluso. Quella che va quindi superata è la «crisi sociale» dello Stato sociale. Il socialismo richiede che la grande incompiuta conquista da esso prodotta, lo «Stato sociale», venga difeso, ripensato, riorganizzato. Una sinistra democratica. socialista e liberale. Vogliamo unire i socialisti. Vogliamo creare una sinistra democratica, socialista e liberale come alternativa politica nel nostro paese. Vogliamo ritrovare i militanti e elettori che i nostri errori, le nostre colpe ci hanno strappato. Vogliamounire i giovani, i meno giovani, gli anziani, gli uomini e le donne. Vogliamo unire volti noti e volti ignoti. Vogliamo aprire una stagione di una rinnovata fiducia tra gli eletti e gli elettori perché l'Italia come società, come politica, come economia cessi di vivere all'ombra dell'arbitrio pubblico e del diritto penale. Come vogliamo unire libertà e eguaglianza sul piano dei valori, vogliamo unire giustizia e vita, democrazia e magistratura, consenso e legalità, impresa e lavoro sul piano della politica. Siamo certi d'interpretare il desiderio comune dei socialisti e le speranze di una sinistra di libertà: solo questo sentimento giustifica ai nostri occhi la nostra provvisoria parzialità e le responsabilità che ci siamo assunti. Non per una esigenza discutibile, ma per un dovere indiscutibile. Costruire il futuro. Un dovere indiscutibile, innanzitutto nei confronti della tradizione socialista ma anche verso il futuro della sinistra. Ed un dovere da esprimere in una situazione nella quale tutti i partiti storici del dopoguerra italiano hanno esaurito le loro funzioni. Una situazione che è mostrata dalla incapacità dei partiti storici di assicurare l'unità nazionale, di creare integrate culture politiche, di garantire il consenso al sistema politico ed il suo consolidamento, di salvaguardare gli assetti democratici dall'estendersi degli estremismi di destra, di sinistra e di centro. È l'incapacità a svolgere queste funzioni che fa intravedere l'esaurimento se non la fine dei partiti storici. E che rende impossibile riproporre con meri cambiamenti di facciata le vecchie formazioni. La fine di questi partiti impone un rinnovamento completo delle formazioni tradizionali. L'ispirazione di questo rinnovamento po-

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