Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 36/37 - gen.-feb. 1993

,{)JLBIANCO lXILROS.SO Mii•Miliil Morettin «licenza». Inpremiodi che? di Giovanni Gennari H o avuto la «ventura» molto dolorosa di vivere la vicenda del caso Moro in stretto contatto personale con Benigno Zaccagnini, e di tenere, in quei 55 giorni terribili, alcuni contatti non politici tra lui ed altri uomini politici di primo piano. Posso testimoniare di aver visto Zaccagnini, in quei giorni e in quelle notti, cominciare a morire, lacerato dalla speranza di restituire Aldo Moro alla famiglia e anche alla sua amicizia ed al suo partito, e dalla necessità insieme morale e giuridica di non cedere sul piano del dovere di uomo di Stato. Anche Benigno Zaccagnini, uomo e politico, è stato ucciso dagli assassini di Moro, con una esecuzione che è durata anni, e che non per questo è stata meno atroce e meno criminale. Non è questo il momento di ricordare i giorni, le ore, le notti di ricerca, di preghiera, di pianto, di dolore. Tutti sappiamo come è finita, e occorre sempre ricordare, anche, come era cominciata, con l'assassinio spietato di quattro uomini, sposi, figli, padri, fratelli e amici di tanti, che avevano il solo torto di fare il loro dovere. Ricordo, invece, il ruolo terribile, di protagonista massimo, di stratega unico, di mente organizzativa, di capo supremo, che in quella vicenda ha ufficialmente svolto Mario Moretti, uscito in libertà, anche solo per qualche ora, per qualche giorno, per qualche urgenza, per qualche favore... Non discuto, qui, neppure la legislazione premiale.Conosco e stimo il senatore Gozzini e so che le polemiche contro la legge che ha preso il suo nome erano e sono pretestuose. Leggo che Moretti ha parlato, con sicurezza, di «gesto politico», riferendosi alla sia pur piccola grazia che ha ricevuto, e mi sento obbligato a riflettere ad alta voce. Mario Moretti è, senza tema di smentita, il più oscuramente impenetrabile tra i protagonisti effettivi, e conosciuti, della vicenda Moro. Egli è dive21 nuto capo unico delle Br, nel 1974, consentendo che Renato Curcio e Alberto Franceschini fossero arrestati a Casale Monferrato: aveva saputo che i carabinieri li attendevano al passaggio a livello, non li avvertì, e non andò con loro. A Franceschini ha detto di non ricordare come mai non abbia potuto avvertirli. Almeno spettatore interessato, se non addirittura complice di quell'arresto strategicamente studiato ed attuato utilizzando i carabinieri. Il giudice Giancarlo Caselli, a detta di Franceschini, come risulta a p. 121del libro «Mara,Renato ed io», disse che Moretti nel 1974 era «protetto dai carabinieri». Curcio e Franceschini, traditi da Silvano Girotta, infiltrato nelle Br in una operazione pilotata dai Servizi segreti, come disse lo stesso Girotta al «Corriere della Sera» (13/5/78), e con l'approvazione calda di Mario Moretti, scomparvero in prigione, e Moretti divenne il capo. In quei giorni il generale Miceli, capo del Sid, affermava che da allora in poi si sarebbe cominciato a parlare di terrorismo rosso, e non più di terrorismo nero. La cosa è agli atti nell'Istruttoria Tamburino. Da quel momento le Br cominciarono la loro scalata di sangue, che sarebbe giunta fino ad Aldo Moro, ed oltre. Il tutto sotto la regia di Mario Moretti, per questo condannato a parecchi ergastoli. Lo stesso Franceschini nel suo libro avanza molti dubbi, rimasti irrisolti, sul ruolo di Moretti. Ultimo tocco: in ogni intervento pubblico Moretti non ha fatto altro che proclamare che nella vicenda Moro tutto è chiaro, tutto è limpido, tutto è spiegato. Lo ha detto in Tva Zavoli, lo ha detto a Biagi, lo ha detto a Minali, eppure tutti sanno, e constatano ogni giorno, che quasi nessuno dei dubbi importanti e decisivi relativi a quella vicenda è stato risolto con certezza assoluta. A parere di molti, tra coloro che sono in prigione per essa, solo Mario Moretti sa la verità vera su tutta la vicenda Moro. Ebbene: non è singolare che

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