i)JLBIANCO '-.XILROSSO ilii•ililill mercato del lavoro che interventi tempestivi dal lato della domanda, di sostegno del reddito e di protezione sociale (i cosiddetti stabilizzatori automatici) riescono a fronteggiare. D'altro lato il mercato del lavoro svolge un ruolo importante per la stabilizzazione del ciclo in quanto la disoccupazione frena la dinamica salariale e l'inflazione. L'esperienza della stagflazione; cioè della contemporanea presenza di disoccupazione e di inflazione, e della persistenza della disoccupazione, cioè della relativa insensibilità della disoccupazione al ciclo, hanno mostrato come oggi l'efficacia del mercato del lavoro non possa più essere analizzata e valutata nel quadro della stabilizzazione ciclica e della logica del breve periodo. D'altro canto l'analisi dell'impatto «strutturale» delle politiche ha evidenziato come siano proprio certi modi sbagliati di fare protezione sociale (l'assistenzialismo, la rigidità del mercato del lavoro) a «creare» disoccupazione, a farla radicare, a determinare «effetti di dipendenza» che creano incentivi per l'esclusione o il ricorso al mercato nero del lavoro producendo talora un effetto «statistico» di miglioramento dei tassi di disoccupazione: il caso della Cig e dei prepensionamenti è in proposito emblematico. L'analisi dell'efficacia del mercato del lavoro richiede oggi una impostazione strutturale e una visione di medio-lungo periodo: a parità di disoccupazione, è efficace ai fini dello sviluppo quel mercato del lavoro che promuove la qualificazione e riqualificazione dei lavoratori, la mobilità e la flessibilità nell'uso delle risorse umane, la compatibilità e la flessibilità delle dinamiche retributive e dei differenziali salariali, la partecipazione e il coinvolgimento delle forze di lavoro nel sistema produttivo, la giustizia sociale e l'appartenenza/identificazione dei cittadini con la comunità del lavoro. Su questo piano c'è un pericoloso ritardo nell'elaborazione e nella sperimentazione delle poli17 tiche. Le politiche dell'occupazione e del lavoro sono nei paesi industrializzati troppo spesso viziate da un'impostazione puramente «reattiva»e di breve periodo. Le politiche della protezione sociale sono anch'esse dipendenti da condizionamenti finanziari e sociali di breve periodo. Non mi pare ci sia ancora sufficiente consapevolezza che nel nuovo contesto di funzionamento dei mercati del lavoro, l'efficacia delle risorse umane e la protezione sociale vanno radicalmente ripensate e riformulate. Un passo importante che va nella giusta direzione è il riorientamento delle politiche di intervento dalle misure «passive» di mero sostegno del reddito a quelle «attive»che promuovono l'integrazione dei soggetti nel mondo del lavoro. Ma questo è ancora insufficiente: occorre riflettere come creare o ricreare la coesione sociale, la solidarietà, il senso di identificazione e di appartenenza ad una comunità del lavoro che la disoccupazione ha lacerato e sta lacerando. Questo è il vero dramma che la questione della disoccupazione sta facendo emergere: i paesi industrializzati, che pure tanto successo hanno avuto nell'edificazione di sistemi tecnologici ed economici avanzati e nello sviluppo di sistemi articolati di protezione sociale, fanno grande fatica oggi a fare i conti con le fratture e le contrapposizioni che i cambiamenti strutturali tanto a livello economico che sociale stanno determinando. Le condizioni del vecchio «contratto sociale» stanno erodendosi, mentre ancora non c'è sufficiente chiarezza su quali nuovi contenuti e quali nuove regole di giustizia possa rifondarsi un nuovo contratto. Da questo punto di vista discutere di un punto in più o in meno di disoccupazione, come si fa in Italia e in molti altri paesi, mi pare in definitiva riduttivo e persino eccentrico: dopotutto in questa chiave risulterebbe incomprensibile la drammatica evidenza che sta assumendo la crescita della disoccupazione anche in un paese come il Giappone con un tasso di disoccupazione inferiore al 2,5%.
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