Il Bianco & il Rosso - anno IV - n. 36/37 - gen.-feb. 1993

i>JLBIANCO lXILROS.SO Mii•Cilid te più sviluppate, ad essere più esposte alla nuova disoccupazione; d) infine, il rallentamento ciclico tende a riflettersi meno sull'andamento della produttività del lavoro; in altri termini l'occupazione pare reagire più prontamente al ciclo, il.che riflette certo una maggiore flessibilità del mercato del lavoro, ma rivela soprattutto un cambiato rapporto tra mercati interni e mercato esterno del lavoro. Questi dati nuovi, che meritano attenta considerazione, non eliminano peraltro gli aspetti antichi e per così dire consolidati del fenomeno: la nuova disoccupazione infatti si aggiunge ad uno stock consistente e persistente di disoccupati «classici». Resta tutto intero il fenomeno della «isteresi» cioè della disoccupazione di lunga durata, della disoccupazione che crea disoccupazione ... portando all'allontanamento dal mercato del lavoro. Resta importante ed imponente la questione del sottosviluppo, della carenza di occupazione industriale, del basso livello di qualificazione, dell'insufficiente mobilità e flessibilità delle risorse umane. E tuttavia la dimensione e la rilevanza del nuovo rende obsoleti gli schemi di interpretazione correnti e convenzionali e vincola in modo decisivo l'impostazione e l'efficacia delle politiche. Vaperciò promosso un salto di qualità nella discussione che punti ad evidenziare gli aspetti di novità, a comprenderli a fondo, e a porli alla base di una profonda riconsiderazione e di un rilancio delle politiche. In questa prospettiva due aspetti mi paiono meritevoli di particolare attenzione: il rapporto tra disoccupazione ed esclusione sociale, e il rapporto tra disoccupazione efficacia del mercato del lavoro e sviluppo. Nel passato, ed ancora oggi nel dibattito corrente, si identificava disoccupazione ed esclusione sociale. Chi cerca lavoro senza trovarlo si sente legittimamente escluso dalla collettività, soffre di perdita di standard di vita, rischia la povertà e l'emarginazione. Emotivamente la disoccupazione evoca miseria e abbrutimento, fame e degradazione; ricordate i classici degli anni '30. Il dato nuovo su cui riflettere è che non tutta la disoccupazione è necessariamente esclusione, e che non tutta l'esclusione è necessariamente disoccupazione. Cominciamo da questo ultimo punto: in molti casi chi non cerca lavoro e non fa parte delle forze di lavoro è in condizione di esclusione drammatica e persino peggiore di quella della di16 soccupazione. Nelle situazioni di arretratezza e di sottosviluppo, direi che paradossalmente la disoccupazione segnala un fermento positivo di attivazione del mercato del lavoro rispetto a condizioni di emarginazione e di inattività: si pensi alle giovani donne che oggi anche nelle aree più depresse si presentano sul mercato del lavoro e figurano come disoccupate, mentre fino alla generazione precedente erano rimaste legate all'inattività domestica (in senso statistico: le casalinghe non fanno parte delle forze di lavoro, anche se certo «lavorano») o alla sottoccupazione agricola. Si pensi alla differenza tra la condizione della Spagna che nel periodo di maggior decollo industriale ha visto impennarsi il suo tasso di disoccupazione, mentre il Portogallo che resta relativamente molto meno sviluppato registra tra i tassi più bassi in ambito comunitario. Ritengo che le forme di esclusione diverse dalla disoccupazione, e che perciò non vengono contabilizzate dai tassi di disoccupazione e non emergono nel dibattito sulla disoccupazione, siano sempre più importanti nell'analisi del disagio. Faccio alcuni esempi: a) i lavoratori «scoraggiati» che non cercano più lavoro perché disperano di trovarlo; b) i «drop-outs» dell'istruzione, giovani che non si integrano nel sistema scolastico, non cercano lavoro, vivono di «lavoretti» ai margini, e cadono facile preda della criminalità; c) le donne che dopo la maternità restano prigioniere dei loro vincoli famigliari, dell'assistenza agli anziani e non riescono a trovare né il tempo né l'inclinazione per cercare lavoro; d) i prepensionati e i cassaintegrati, che non «possono» cercare lavoro (pena la perdita del reddito), che non sono certo alla fame o necessariamente alla miseria, ma che soffrono della loro condizione di esclusione dalla comunità produttiva. In definitiva, la disoccupazione misura sempre meno e sempre peggio il disagio sociale e l'esclusione, anche se il disoccupato «attivo»che utilizza la ricerca di lavoro per meglio qualificarsi e trovare migliore collocazione nel lavoro e nella carriera (search unemployment) resta una figura poco rappresentativa della realtà dominante e drammatica della disoccupazione. Il secondo aspetto di novità che vorrei trattare sta nel mutato rapporto tra disoccupazione, efficacia del mercato del lavoro e sviluppo. Nello schema classico, la disoccupazione legata all'oscillazione del ciclo segnala uno squilibrio temporaneo del

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