.{)JL BIANCO lXILROSSO Mii•Cilid è diventata una struttura senza risorse e senza potere. A questa situazione siamo arrivati anche per specifiche responsabilità del sindacato che su questa materia appare spesso incerto e diviso. La coesistenza al suo interno di posizioni contrapposte e non mediabili costituiscono quasi sempre un comodo alibi per la Confindustria ed il Governo di evitare scelte più coraggiose e più impegnative assunzioni di responsabilità. Anche per questo manca, ad esempio, un programma di transizione dei giovani meridionali al lavoro attraverso una serie di progetti di attività di qualificazione del capitale fisso sociale del paese (manutenzione urbana ed ambientale, valorizzazione dei beni storico-culturali, servizi alla persona ecc.) gestiti da soggetti, anche pubblici, dotati delle necessarie competenze logistico-organizzative, manca una politica del tempo di lavoro, manca una riforma dell'intero sistema formativo in chiave europea. Negli ultimi tempi si è riusciti a fare alcuni passi in avanti attraverso due intese, con la Confindustria e il Coordinamento delle Regioni, sulla politica della formazioneprofessionale e su primi impegni nella gestione della mobilità verso il reimpiego. Si tratta di segnali importanti che possono presentare un fatto nuovo se saranno accompagnati da una cultura e da una pratica di forte assunzione di responsabilità da parte dei diversi soggetti coinvolti. Ma il problema dell'occupazione rischia di diventare il tallone d'Achille per tutti e per la stessa rigenerazione della politica se non saremo capaci di uscire dall'attuale clima di generico allarmismo impotente nel quale, per mancanza di idee e per pigrizia, il nostro paese sembra irresponsabilmente adagiato. LaQuestioneOccupazioneei paesiindustrializzati di Paolo Garonna nche in Italia la questione della disoccupazione, come era già avvenuto da molto tem- A po per gli altri paesi industrializzati, è entrata nel pieno del dibattito di politica economica ed al centro dell'attenzio.ne dell'opinione pubblica. La confusione di cifre, previsioni, proiezioni di varia fonte e natura, e l'attesa spasmodica dei dati della nuova indagine Istat testimoniano della domanda crescente di informazioni precise quantificabili affidabili su cui ancorare le valutazioni e la discussione, altrimenti in balia di sensazioni, di previsioni circoscritte, di casi e di possibili strumentazioni. Si è in presenza infatti di una questione «antica», perché dalla rivoluzione industriale in avanti lo spettro della perdita del posto di lavoro è stato percepito come una minaccia al benessere ed alla sicurezza individuale e collettiva; e tuttavia que15 sta questione si presenta oggi con degli aspetti del tutto nuovi che richiedono una sistemazione analitica e concettuale, prima ancora che di impostazione politica. L'analisi infatti della crescita della disoccupazione che ha accompagnato la recessione dei primi anni novanta nei paesi industrializzati, ha rivelato taluni fenomeni nuovi: a) anzitutto la disoccupazione colpisce in misura maggiore del passato il settore dei servizi, che tradizionalmente aveva svolto un ruolo di ammortizzatore delle oscillazioni dell'occupazione industriale e che oggi invece viene investito in pieno dall'ondata di ristrutturazione; b) in secondo luogo, la disoccupazione non risparmia colletti bianchi, tecnici, lavoratori professionalizzati, persino quadri ed alta dirigenza; c) in terzo luogo, sono le aree forti, relativamen-
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