i>JL BIANCO l.XILROSSO ihi•Ciliil La politica industriale è assente da oltre un decennio dall'agenda dei nostri governi. Potremmo continuare a lungo in questo doloroso elenco dei nostri mali ma credo che già quelli indicati danno il senso di quanto le omissioni della politica passata pesino sul presente e costituiscano ostacoli immani per una efficace lotta alla disoccupazione nell'immediato futuro. Nonostante tutto questo, che va tenuto presente per non essere velleitari, siamo ben lontani dal considerare impossibile una politica positiva a sostegno dell'occupazione. Essa può nascere solo da una sintesi efficace tra politica economica, politica industriale e politica del lavoro. Una prima esigenza è rappresentata dalla necessità di una riconsiderazione generale della politica economica e sociale del paese. In particolare sembrano urgenti due aspetti che, a mio avviso, condizionano pesantemente la nostra strategia di politica economica generale: la qualità della politica di risanamento del debito e la politica di ingresso nell'Europa comunitaria. Circa il primo aspetto è tempo di interrogarci sul fatto che un ammontare degli interessi del debito pari a 200.000 miliardi stanno determinando effetti devastanti tanto in termini di ripartizione del reddito che di dissanguamento del sistema produttivo. In tal modo il paese sta lavorando e facendo sacrifici solo per aumentare a dismisura l'area della rendita che diviene sempre più incompatibile con qualsiasi ipotesi efficace di risanamento della finanza pubblica. In altri termini lo Stato deve risolvere una contraddizione tutta interna alla sua politica per cui chiede pesanti sacrifici al cittadino in qualità di lavoratore e consumatore e, nello stesso tempo, offre allo stesso, in qualità di risparmiatore, rendite favolosesui titoli pubblici, che non trovano riscontro in tutti gli altri paesi europei. L'altro aspetto che aggrava le conseguenze del primo è rappresentato dalle contraddizioni della nostra politica comunitaria. Siamo contemporaneamente il paese più rigorista nell'applicare i tempi e le modalità della politica di convergenza decisa a Maastricht ed il più lassista ed inefficiente come negoziatore nella difesa dei propri interessi e come utilizzatore delle risorse comunitarie che gli sono assegnate. È tempo perciò che queste politiche diventino oggetto di un dibattito consapevole di tutto il paese e non vengano lasciate alle scelte dei pochi ad14 detti ai lavori, operando le necessarie correzioni per creare condizioni più favorevoli a cogliere le prevedibili opportunità espansive e di incremento dei posti di lavoro. Sul vuoto della nostra politica industriale si sta discutendo da tempo ma le scelte conseguenti sono ben lontane dalla ricostruzione di una politica efficace di rilancio del nostro sistema. Le uniche scelte che hanno determinato un qualche effetto positivo sono le poche leggi a sostegno delle piccole imprese, anche se dotate di risorse insufficienti, mentre siamo nettamente in ritardo in tutte le politiche strutturali da quelle della ricerca a quelle dei servizi reali, della localizzazione territoriale, del credito. In questa situazione lo stesso doveroso tentativo di accelerare ed orientare la domanda pubblica, ammesso che riesca, è destinato a determinare effetti di limitata efficacia. Appare poi maèroscopico il fatto che di fronte ad un processo di privatizzazione annunciato del sistema delle partecipazioni statali manchi una qualsiasi politica di transizione che non faccia scomparire un ruolo dello Stato, ancora azionista di maggioranza, nelle scelte di ristrutturazione in corso. Infine anche sul terreno più specifico della politica attiva del lavoro le scelte recenti del governo non hanno cambiato un quadro di povertà e di inadeguatezza che ci portiamo dietro da tempo. Il Ministro del lavoro è alla ricerca di un qualsiasi mix di interventi che dimostrino che, comunque, si sta facendo qualcosa. In queste settimane stiamo infatti assistendo al proliferare di provvedimenti legislativi frammentari ed erratici (quasi un decreto per ogni punto di crisi) che intervengono essenzialmente in due direzioni. Da un lato con l'estensione degli ammortizzatori sociali e la flessibilizzazione del rapporto di lavoro e, dall'altro, con interventi anticiclici nei punti di crisi cercando di orientare in tal senso la domanda pubblica. Tuttociò in un contesto di assoluta insufficienza di risorse a disposizione e di precarietà della strumentazione prevista. Basti pensare che solo 1350miliardi sono risorse aggiuntive direttamente destinate alle politiche del lavoromentre la stessa Task-farcepresso la Presidenza del Consiglio, che era stata presentata come lo strumento nuovo per accelerare e orientare gli investimenti di reindustrializzazione, in realtà
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