.P.IL BIANCO \XILROSSO _,,,., • Perlavoraretutti, lavoraremeglio di Gianni Italia L a crisi occupazionale è ormai evidente a tutti. Il Capo dello Stato ne ha fatto oggetto di un esplicito e pressante appello al Presidente del Consiglio. Alcune misure sono state prese sia in termini di provvedimenti mirati alle aree territoriali in crisi che di carattere generale. Ritornerò su queste iniziative, ma occorre prima concentrare la riflessione sulle cause. Nella nostra bilancia commerciale c'è un dato paradossale. Se si prende in esame il settore della metalmeccanica, si riscontra che nel confronto della meccanica il saldo attivo in questi anni, compreso il '91 è cresciuto (anche prima della svalutazione). Mentre nel comparto dei mezzi di trasporto, c'è una progressiva esplosione del deficit, con un'accentuazione nel '91. Gli ultimi mesi dopo la svalutazione non hanno dato quei segnali uniformemente positivi che molti attendevano, anche se bisogna tener conto della congiuntura negativa a livello mondiale. C'è quindi un dato allarmante dovuto alla bassa capacità competitiva dei prodotti. Caso esemplare il settore automobilistico nel quale la Fiat perde quote di mercato in Italia e non riesce a crescere in Europa. Ma questo vale anche per le produzioni dei beni strumentali e nei settori dove la presenza dell'industria italiana è tradizionalmente forte. Malgrado si sia teorizzata la qualità totale, sembra essere proprio questo il punto debole del nostro sistema industriale. Questa situazione dipende in buona parte da un costo del denaro molto elevato. Anche se questo non spiega tutto. Ciò può valere per la domanda interna. Il peso del finanziamento al debito e il conseguente riflesso sui tassi di interesse rende poco appetibile l'investimento industriale. Il nodo che stringe alla gola l'economia reale deve essere allentato. Provvedimenti di riduzione di questo peso devono andare oltre la strategia dei prestiti in valuta estera o in Ecu, proprio in ragione delle pre10 visioni che concordano tutte sulla crescita del debito almeno fino al 1955. Inoltre, operare con manovre straordinarie sul fronte delle entrate inasprendo ulteriormente la pressione tributaria nominale o intervenire sulla riduzione di spese con tagli sullo stato sociale sarebbe economicamente pericoloso e socialmente iniquo. Nella crisi occupazionale che stiamo vivendo c'è anche il riflesso delle decisioni giuste, ma gestite in maniera dilettantesca, di privatizzazione delle Pp.Ss.: si è risposto più alle pressioni dell'opinione pubblica «eccitata» peraltro dai vertici confindustriali, sostenuti come al solito dalla corte di falsi moralizzatori. Le modalità di scioglimento dell'Efim - ad esempio - hanno prodotto la più grave crisi del dopoguerra in termini di credibilità del nostro paese sui mercati finanziari. Il modo altalenante di procedere alla privatizzazione di Eni ed Iri ha creato una incertezza circa l'affidabilità degli interlocutori ed ha prodotto la paralisi dei prestiti internazionali. E per un sistema a bassa capitalizzazione come quello a partecipazione statale è stato un disastro. Sospensione di piani di investimento, blocco dei pagamenti ai fornitori, riduzione dell'attività produttiva hanno innescato una grave crisi che ha inciso pesantemente sull'occupazione delle aziende a Pp.Ss. e del loro indotto, in particolare nelle aree dove la presenza di queste aziende è forte. Anche il sistema della subfornitura, e conseguentemente della piccola impresa, è sottoposto alle conseguenze della caduta di produttività dei settori committenti, oltre a subire i contraccolpi degli spostamenti verso i paesi dell'Est europeo di alcune produzioni a basso valore aggiunto. L'insieme del quadro necessita di iniziative nell'immediato, ma pone gravi problemi di strategia nella politica industriale per il futuro.
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==