,{)_{tBIAN{:0 l.XltROSSO l•i•W•lil Il «craxismo» è finito. Insorgerpeer risorgere! - I I crollo del Partito socialista nelle recenti elezioni amministrative del 13-14dicembre scorso ha un valore emblematico. Rappresenta infatti l'apice di una crisi, quella del sistema politico italiano e della stessa si- - nistra, che parte in realtà da lontano e che va al di là degli stessi confini italiani. Certo, tale crollo è strettamente legato a situazioni contingenti che riguardano il Partito socialista italiano, il suo fare politico, le sue scelte - o meglio le sue non-scelte - degli ultimi anni, in particolare riguardo alla questione morale. Ma mostra anche un travaglio inerente appunto alla sinistra nel suo complesso in Europa. È da anni che si parla di crisi della sinistra. La socialdemocrazia, il socialismo riformista, il labourismo - che tanta parte hanno avuto, a partire dalla fine della 2° Guerra mondiale, nella definizione dello Stato sociale, nella ricostruzione, nell'affermazione dei valori di libertà, uguaglianza e giustizia - dagli anni '70 stentano a ritrovare un'identità progressivamente perduta. Il crollo del comunismo reale, nell'89, e la fine delle grandi ideologie invece che favorire la ripresa della sinistra riformista hanno avuto l'effetto opposto. Nei Paesi ex comunisti il rigetto nei confronti del socialismo ha coinvolto anche i valori socialdemocratici. Nelle stesse democrazie occidentali i partiti riformisti di sinistra non traggono da tale crollo una rinnovata vitalità. In Italia la sinistra continua ad essere profondamente divisa. I contrasti ed i battibecchi fra le tre forze politiche appartenenti all'Internazionale socialista hanno assunto spesso toni parossistici. Il Pci ha cambiato nome, ha subito una scissione e ha perso gran parte della consistenza degli anni passati. Il Psi da parte sua nulla ha tratto dal trauma degli ex comunisti italiani. di Valdo Spini Anzi, come hanno dimostrato gli ultimi sondaggi elettorali, precipita rovinosamente verso livelli mai raggiunti prima d'ora. Il Psdi vegeta. Sopravvive per forza d'inerzia. E nulla più. Quella del socialismo italiano è quindi una crisi nella crisi. Viè cioè una «questione socialista» a livello internazionale ed una «questione socialista» a livello italiano. Il socialismo è nato dalla speranza di una «società giusta». Una società nuova per uomini nuovi. Nella quale solidarietà, uguglianza, giustizia, libertà ed un minimo di benessere fossero garantiti per tutti. Il socialismo è nato quindi perché la classe più numerosa e più povera degli uomini e delle donne non fosse esclusa da una vita umanamente dignitosa a tutto vantaggio di una cerchia ristretta di privilegiati. È stato un grande sogno collettivo,per il quale in molti sono stati disposti ai più grandi sacrifici, anche la vita stessa. Le divisioni, i contrasti, le battaglie - anche le più aspre - fra le varie anime del socialismo non sono mai riuscite del tutto a cancellare il comun denominatore che tutta la sinistra univa: il sogno di una «nuova società». Questo sogno collettivo sembra essersi esaurito. Gli strumenti che dovevano permettere di attuarlo sono falliti: la proprietà collettiva dei mezzi di produzione, la socializzat:ione, il superamento dell'economia capitalistica. Con essi oggi mostrano la corda anche gli obiettivi intermedi - le «riforme di struttura», come diceva Riccardo Lombardi - per i quali il socialismo riformista ha dato il meglio di sé: lo Stato sociale, le nazionalizzazioni e via elencando. Da una parte quindi sono fallite le società a comunismo reale, che ben presto hanno dimostrato l'incapacità di affermare i valori propri del socialismo. Dall'altra i risultati ottenuti dalla socialdemocrazia si sono trasformati, a lungo andare, in veri e propri 38 ostacoli al raggiungimento di una società che quei valori ponesse alla sua base. La sinistra democratica è stata incapace di evitare la tendenza dello Stato sociale - tanto necessario alla creazione di «un capitalismo dal volto umano» - di cadere nell'inefficienza, nella burocratizzazione, nella corruzione e nella negazione quindi degli stessi principi ed obiettivi per il quale era nato. La tutela della classe più numerosa e più povera si è trasformata in corporativismo, in difesa degli interessi di parte. Il partito politico che si adopera per il bene collettivo è ormai una favola per bambini. Fare politica è divenuto darsi da fare per la conquista ed il mantenimento del potere fine a sé stesso. E lo stesso Stato sociale si è mostrato un ottimo strumento per ottenere ciò. Il crollo delle ideologie, del finalismo che mirava alla creazione di una «società socialista» ha provocato la totale indifferenza verso quei valori che erano la ragion d'essere degli «obiettivi intermedi» per i quali la sinistra riformista si è a lungo tempo battuta. Siamo quindi alla politica come puro do ut des, come semplice gestione del quotidiano. Dopo quella necessaria delle ideologie, la fine dei valori, delle idealità, del progettualismo e quindi, infine, del riformismo ha ovviamente pesato molto più sui partiti di sinistra che su quelli conservatori. Di qui il ritorno di fiamma dei liberisti, dei nazionalisti, della destra nel suo complesso. Di qui il distacco tra i partiti popolari tradizionali e i cittadini, con il conseguente riaffermarsi delle forze politiche anti-sistema. La sinistra deve ritrovare le idealità. Deve tornare ad essere una forza capace di tradurre in progetti concreti i valori intorno ai quali è nato il socialismo. Vi sono sul tappeto grandi problemi a livello internazionale - ambiente, sviluppo, immigrazio-
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