lidarietà fra generazioni, perché si consuma oggi a scapito del futuro. Non è un ripensamento di poco conto perché significa, mi pare, porre su basi molto diverse la necessaria azione sociale. Ci si domanda spesso perché in Italia in questi ultimi decenni è stata più debole che in altri Paesi la componente del socialismo democratico e perché qui, più che altrove, si può pensare ad una sinistra che prescinda dall'apporto socialista. Anche in questo caso mi lascia insoddisfatto la spiegazione che sottolinea come nel nostro Paese vi sia stato il più grande partilo comunista dell'Occidente. Riflettiamo invece sul fatto che in Italia abbiamo chiamalo «stato sociale» ciò che era in gran parte stato assistenziale, clientelare, sinonimo di parzialità politica e di inefficienza, che ha suscitato un malcontento crescente ed un vero e proprio distacco dei cittadini. Da lì, da quel concreto modello, è nata la questione morale. La sinistra nel suo insieme ha contribuito a costruire e a difendere questo sistema, e in particolare il Psi ed il Psdi sono stati identificali come attori fondamentali e di governo di quello stato sociale. È questa realtà, è questa immagine diffusa, che va superata per ristabilire su basi nuove un collegamento fra socialismo democratico ed azione sociale. Questo ragionamento vale molto per l'Italia ed ha evidenti ed urgenti implicazioni politiche per la sinistra. Il ripensamento però dei fondamenti della solidarietà sociale e degli strumenti pubblici di intervento è necessario in tutta Euiclll, BIANCO lXltROSSO iiX•#§i&tl ropa se si vuole rilanciare su questo punto la credibilità delle forze di ispirazione socialista. Tale questione, però, per quanto importante, non mi pare ancora sufficiente per ridefinire l'identità e il ruolo del socialismo democratico, oggi. Mi sembra infatti un limite rimanere solo dentro la sfera della redistribuzione del reddito e della solidarietà. Bisogna invece affrontare le questioni del mercato, della produzione, dello sviluppo, dal punto di vista di una prospettiva socialista. La sinistra su questo punto si è divisa frontalmente. Il comunismo ha teorizzato e praticato la statalizzazionecompleta e l'abolizione del mercato, il socialismo democratico ha sostanzialmente delegato al capitalismo il funzionamento dell'economia. Il perdurare di questa situazione, anche dopo la caduta del muro di Berlino e la fine delle contrapposizioni ideologiche a sinistra, produce danni e impedisce la piena credibilità di una forza socialista. C'è un evidente imbarazzo ogni volta che si parla di sviluppo o di politica industriale o di economia. Il più delle volte la sinistra socialista mette l'accento solamente sull'occupazione, sulle consenguenze sociali delle scelte, ma quasi mai sulle scelte. Il merr.nto, come la politica economica, non sono mai una sola e non sono neutre, rispondono a dei principi e a dei valori. Se è vero che le elaborazioni, le teorie del passato sono ben poco utilizzabili a questo scopo, e ciò costituisce un'evidente difficoltà, cionondimeno questo non deve impedirci di affrontare quei problemi. In 37 caso contrario si lascia agli altri la definizione delle compatibilità, dei modelli di produzione, dell'organizzazione economica e monetaria, e ci si limita ad intervenire per attenuare le conseguenze sociali di ogni decisione. L'assenza di un impegno specifico ed alternativo su questo terreno porta o all'idolatria del mercato così com'è, oppure ad interventi casuali ed incoerenti che non riescono a dare il segno di una politica. E tempo ormai che si affrontino tali questioni in modo organico: il ruolo e l'estensione delle imprese pubbliche, le possibilità di sviluppo della cooperazione come organizzazione economica diversa da quella privata o pubblica, l'intervento dello stato regolatore in economia, dalla concorrenza agli aiuti pubblici, al sistema creditizio e finanziario ecc... Anche sulle questioni dell'occupazione e del lavoro, non può essere sufficiente una posizione puramente quantitativa e difensiva. Sento qualche volta parlare di blocco dei licenziamenti. Cosa vuol dire? Una forma riveduta dell'imponibile di manodopera? Possiamo limitarci a far blocco sul lavoro esistente senza porci il problema della creazione del lavoro, della sua mobilità e flessibilità? Infine la stessa questione politica della rappresentanza e del ruolo, anche gestionale, del lavoronelle aziende e nel territorio, dovrebbe diventare un punto di riflessione e di impegno. Solo affrontando l'insieme di questi problemi, e cercando alcune risposte ai più significativi fra di essi, mi pare possibile porre su basi «strutturali» il rilancio del socialismo democratico.
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