Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 35 - dicembre 1992

tezza che gli fa tanto più onore quanto più è politicamente costosa. Non vi è stato alcun bagno di sangue, neppure retorico: Craxi è ancora fermamente in sella, di una cosa che non si sa più neppure bene se esista ancora, e parla a nome di una base che da tempo non viene più ascoltata. La verità è che gli attacchi più velenosi sono venuti, come in altri casi, non da chi è stato critico in passato e che ha tutto il sacrosanto diritto di esserlo anche ora, ma dai più stretti beneficati. Lasciamo perdere sangue e roghi e non facciamo ridere. Si vada a un Congresso in cui sia possibile parlare e in cui si ristabiliscano senza barare e senza trucchi due cose: la regolarità democratica delle procedure e il discorso politico sui contenuti. E si passi a uno stile ragionativo di conduzione riducendo al minimo le battute lapidarie che rischiano ormai di trasformarsi in graffitisulla tomba del socialismo riformista. Sono convinto che gran parte degli errori il Psi li ha commessi perché ha abbandonato la tradizione il dibattito interno che lo ha caratterizzato sin dagli inizi della sua storia. Equesta situazione è attribuibile sia a chi, nello sforzo di definire una politica unitaria al seguito di un leader di indiscussa capacità ha eliminato l'attitudine al dibattito, sia alla minoranza che si è lasciata emarginare e si è zittita. Questi errori, dunque non sono solo il frutto di insipienza, ma sono riconducibili a uno stile di governo del partito che ha soffocato la critica e il dissenso proprio nel momento in cui sarebbe stata necessaria una costante verifica perché il partito navigava in acque nuove e su rotte non consuete. È vero che occorreva rompere un certo conservatorismo di sinistra. Ma questo il Psi lo aveva già fatto intellettualmente, con il Mondo Operaio della metà degli anni settanta e con la rottura riformista. Ma tutti possono sbagliare e la domanda di fondo rimane. Come mai il Psi non ha raccolto i consensi che gli toccavano per aver visto giusto strategicamente? Le ragioni sono molte e la pochezza delle scelte tattiche è stata tanta, ma mi sembra che una scelta strategica abbia in qualche misura sovradeterminato tutto il resto. Quando ho sentito parlare di Grande Riforma la prima volta ho subito pensato a una riforma dei modi di gestione dello Stato, ma ben presto ho capito che si trattava soprattutto i.)JJ, BIANCO lXILROSSO lit•#iilii di una Riforma istituzional-parlamentare. È vero che il filodel ragionamento diceva che si sarebbe potuto porre mano a una vera riforma dello Stato senza avere lo strumento per creare una maggioranza solida, da cui l'esigenza di una Grande Riforma che portasse a maggioranze solide. Ma questo ragionamento, in sé e per sé del tutto corretto è diventato un principio catechistico ed è stato poi trasformato nell'alibi che ha coperto la povertà politica della strategia centrale del partito da allora in poi. Infatti il ragionamento poggiava tutta la sua forza su una ipotesi parlamentare, e cioè l'idea che in ogni caso, se si fosse riusciti a portare la situazione al punto da provocare una votazione contrapposta, nel Parlamento o in tutto l'elettorato, la sinistra e i laici (e chissammai forse anche una parte della Dc) non avrebbero potuto non votare per Craxi. Perciò non era importante ottenere il consenso di questi futuri elettori (grandi e piccoli) perché essi sarebbero stati «forzati»con le buone o con le cattive a votare per noi, una volta realizzatesi le condizioni istituzionali per una scelta secca. Questa prospettiva lasciava una grande libertà d'azione quotidiana e si combinava molto bene, credo, con la psicologia strategica del Segretario, poco propensa a preoccuparsi delle minuzie del quotidiano a scapito dei grandi disegni. Si combinava altresì molto bene, e qui va riconosciuta una grande colpa della sinistra del Psi, con la pace in famiglia nel partito. E si combinava eccellentemente con gli interessi dei craxini e dei ladrini (o ladroni) che di questa pace si sono avvalsi per rubare a man salva. Ma ha fornito anche l'alibi per una grande pigrizia ideologica. Una volta stabilito che «siamo noi la California, siamo noi la libertà», che il Riformismo era vincente, che bisogno c'era più di pensare? Bastava delegare al compagno lntini laripetizione ossessiva del catechismo. Questa di Intini è stata una vicenda veramente esemplare: pur avendo detto sempre cose sostanzialmente giuste, ogni volta che ha aperto bocca io credo che ci abbia fatto perdere voti. Che senso ha avuto mitragliare per anni la storia politica di quelle non indifferenti porzioni del Pci che erano sostanzialmente d'accordo sulle nostre posizioni, ma che non potevano rinnegare la loro esistenza politica? Si è voluta a tutti i costi un'abiura 35 inutile, laddove una pacificazione sarebbe stata assai più efficiente. Con lntini abbiamo avuto uno Shamir invece del Sadat che ci sarebbe occorso. Perché come in economia, anche in politica le rendite di posizione vengono a cadere o quantomeno cambiano, quando mutano i grandi punti di riferimento. La scoperta delle Americhe ha reso obsoleto il predominio veneziano, ma l'oro latinoamericano ha ucciso l'economia spagnola. La caduta del muro di Berlino e prima ancora i fatti di Tjenanmen hanno confermato la vittoria della socialdemocrazia, ma hanno reso obsoleto e del tutto controproducente il catechismo riformista. Vinta la battaglia occorreva attrezzarsi per raccogliere i profughi: non aveva senso continuare a farli mitragliare dalle casematte di Mondoperaio o dell'Avanti. Tra l'altro quello nei confronti del popolo comunista è stato un caso tipico di overkill politico. Un Pds troppo debole o inesistente avrebbe avuto politicamente senso solo in presenza di un travaso diretto di voti nel Psi, ma come si ottenevano questi voti sparando contro quelli che potevano venire verso di noi? In pratica solo comperandoli, come è avvenuto nel Sud: e non mi sembra un esempio molto rallegrante. E senza la gamba comunista la manovra di creazione di un fronte progressista era fallita in partenza. Ma oltre all'errore strategico di aver ridotto il partito al suo segretario, la politica craxiana ha anche rappresentato una vera e propria «mutazione genetica», in peggio, del socialismo italiano. Il socialismo di cui il Psi si ritiene continuatore aveva conquistato gli animi oltre ai consensi, aveva trasmesso in sé un'immagine etica. Di più, aveva inventato una morale largamente diffusa nella società italiana e condivisa da molti («Gli italiani sono socialisti o non lo sanno», recita il titolo di un famoso libro). Il socialismo craxiano ha puntato alla conquista dei consensi, trascurando completamente la conquista degli animi. Parlare oggi di moralità socialista fa ridere, non soltanto per le vicende recenti, ma perché questo concetto è stato sistematicamentedistrutto e irriso dalla filosofiae dai comportamenti del Psi degli anni ottanta. Il risultato è che non c'è oggi una piazza di Milano in cui il segretario del Psi potrebbe presentarsi a cuor leggero a parlare ai suoi concittadini.

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