Il Bianco & il Rosso - anno III - n. 35 - dicembre 1992

Se entro certi limiti questi sono costi che occorre pagare non alla democrazia, ma al sistema rappresentativo, ci sono modi per ridurre e autoridurre questo costoso apparato. E sarebbe toccato proprio a un partito come il Psi affrontare il problema. Se non ricordo male uno dei punti del programma originario del Partito socialista, di cui si celebra quest'anno il centenario, era l'abolizione dei banchetti pagati dalle municipalità. Aboliamo un po' di banchetti anche oggi. Negli anni sessanta i sociologi polacchi avevano studialo a fondo il rapporto tra partito e società e raffiguravano il partito come una struttura parallela «appoggiata» alla società o meglio «coricata»su di essa a ogni livello.Vediamooggi i risultati di questo sistema in Polonia. Ma la situazione non è molto diversa in Italia e non vogliamo giungere alle medesime conseguenze. I partiti sono necesssari, ma non devono diventare strutture parallele parassitarie e soffocanti. La denuncia da parte del segretario del Psi del fatto che lo sono diventati è certamente un atto di coraggio, di intelligenza politica e di realismo: ma non può fermarsi a una generica constatazione. Occorre un impegno perché le cose cambino e, aggiungerei un impegno «credibile», perché gli elettori non stanno più facilmente al gioco. Anzi vedono nella denuncia solo un atto strumentale, una chiamata di correo. È in questo quadro che dobbiamo collocare il giudizio sul Partito Socialista italiano. La prima reazione, violenta e in larga misura selvaggia, alla obsolescenza delle istituzioni socialiste e alla crisi dell'urbanesimo tradizionale nel mondo occidentale è giunta con il Tatcherismo e il Reaganismo. In Italia, una società che per contingenze storiche e per decisione dei due contendenti planetari ha più di ogni altra impersonificato al suo interno l'equilibrio a dicotomia mondiale, questa reazione si è diluita e anzi è stata rinviata fino ad oggi. Ma intanto la sinistra marciva, mentre nel suo nome una classe media parassitaria si cibava delle spoglie dello stato sociale. Non è servito che il Psi avesse colto (Progetto Socialista di Torino,Congresso di Rimini) prima e meglio di ogni altra forza politica queste profonde trasformazioni. Le idee erano buone, ma gli uomini sono stati deboli. Gli errori politici commessi dal Psi in questi ultimi anni sono tanto più dramma- ~JI, BIAN(:O l.XltROSSO lit•@hlil lici e inspiegabili, in quanto contradittori con l'obiettivo dichiarato di unificare la sinistra. Quanti consensi puliti ha perso il Psi per la posizione ipocrita (perché non sentita e dichiaratamente strumentale) sull'ora di religione? E perché si è deciso di impegnare il Partito in una battaglia estenuante per una legge controversa come la Russo-Jervolino? Una legge che contrastava profondamente con le tradizioni libertarie del socialismo italiano e che ha prodotto, oltre ai tanti altri guasti, una sciagura carceraria come quella denunciata oggi dal nostro compagno Claudio Martelli, Ministro di Grazia e Giustizia il quale constata (il Corriere della Sera, 15 Giugno 1992) che i «drogati» sono «dodicimila su 43 mila detenuti. Rappresentano un problema serissimo. Molti di essi devono essere considerati malati più che colpevoli. Se vanno in comunità o al servizio sociale è meglio. Oltretutto, si rendono disponibili più posti in carcere (sic!)».Ma cari compagni socialisti queste cose gli oppositori della legge (anche quei pochi dentro al partito) le avevano dette e ridette. Per queste ragioni affermando l'intenzione di rivedere la legge Jervolino-Vassalli, Giuliano Amato ha preso una iniziativa importante e coraggiosa, ma soprattutto dovuta. C'era da pagare un debito morale verso le molte migliaia di persone alle quali sono stati inflitti danni e sofferenze, con spregio dei più fondamentali principi solidaristici, nonché del più elementare buonsenso. Ma c'era soprattutto da pagare un debito morale a tutti noi socialisti e alla nostra tradizione di difesa delle libertà e dei diritti umani. Per quanto mi riguarda posso dire con certezza che la campagna per la legge sulla droga, sbagliata nel metodo e nel contenuto, ha significato il momento del mio definitivo distacco politico e intellettuale dal Psi di Craxi. I:imbarazzo espresso con franchezza da Giorgio Ruffolo nella sua intervista a La Repubblica è un documento profondamente inquietante sul clima che si era stabilito allora nel Partito socialista. Quando il tuo partito ti fa vergognare obbligandoti a venire meno a quelli che tu ritieni i principi della tua tradizione e non ti dà spazio ragionevole per la replica, mettendo a contrasto la tua coscienza con le ragioni di lealtà politica, è il segno evidente che qualcosa non va. E anche se allora non ero stato del tutto in 33 silenzio, mi ero però limitato a sussurrare mentre si doveva invece gridare, e vedo adesso i guasti di una acquiescenza di cui la minoranza del partito porta, in questa come in altre occasioni, grave responsabilità. Ma questo sentimento, di vergogna allora e di imbarazzo, ora, non è limitato a Ruffoloo a me o a pochi compagni eccentrici: era ed è assai diffuso nel partito, almeno a Milano e a Torino, dove ho diretta esperienza. E che tuttociò sfuggisse o non interessasse alla leadership era già segno assai maleaugurante. Si dirà che Amato ha compiuto una mossa opportunistica. E allora? A parte il fatto che è tutto da dimostrare che oggi questa posizione sia effettivamentemoltopopolare, far coincidere interessi e principi potrebbe persino essere la definizione del buon politico. Al contrario svendere i propri ideali senza realizzare i propri interessi può dirsi la definizione del cattivo politico. Ed è esattamente ciò che è avvenuto in occasione della legge sulla droga. Insisto su questo punto perché se, oggi come allora, fossi convinto o avessi almeno il sospetto che le motivazioni del segretario del partito fossero basate su ideali più che su calcolo, terrei un atteggiamento diverso. Nel suo intervento su Repubblica, (8 Novembre), Baget Bozzocerca di convincerci che la posizione assunta «era socialista nel senso rigoroso e antico del socialismo». È un tentativo generoso di trovare una motivazione nobile per un leader al quale si è stati vicini, ma vorrei che Baget Bozzospiegasse meglio in quali punti della «rigorosa tradizione socialista» si afferma il valore del carcere, soprattutto per i deboli e i malati. Nel mio ingenuo socialismoho sempre pensato che per difendere i deboli e gli oppressi, i socialisti dovessero al caso andare loro in galera, non mandarci i deboli. Ma in ogni caso la spiegazione proposta da Baget Bozzo era già stata a suo tempo totalmente smentita dalle dichiarazioni di Craxi. È stato lui stesso a dirci a chiare lettere quali erano gli scopi della campagna. Infatti alle obiezioni del compagno Cassala, il Segretario del partito non ha rivolto argomenti di moralità, ma gli ha lanciato la lapidaria frase «vallo a dire ai tuoi elettori». Frase infelice a parte, proprio cosi bisognava fare: dirlo agli elettori, spiegar loro la complessità del problema, convincerli che mettere dei disgraziati in prigione non

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==